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Il testo gregoriano che subì le prime interpolazioni da parte dei musici di S. Gallo fu quello dell'Introito della Messa di Natale. Tuttavia, in questa fase le aggiunte al testo una domanda Quis est iste puer...? (Chi è questo bambino...?) cui segue una lunga, circostanziata risposta portarono soltanto a un dialogo che si svolgeva tra due parti del coro.
La vera e rivoluzionaria novità si ebbe a proposito dell'Ufficio notturno della Pasqua. Il testo romano narrava la visita delle Marie al sepolcro e l'annuncio, dato dall'angelo, dell'avvenuta resurrezione [... Fu] naturale far seguire alla domanda dell'angelo Quem quaeritis? (Chi cercate?) la risposta delle donne: Jesum Christum [...]
E un evento storico che dobbiamo illustrare chiaramente: l'arricchimento-variazione (tropo) del testo ufficiale della liturgia; comportò questa volta una modifzcazione delle varie fasi dell'Ufficio e del ruolo dei suoi esecutori. [...] Ora il popolo dei fedeli vedeva, per la prima volta, singoli cantori, usciti dai loro stalli nel presbiterio, muoversi verso un altare, dove un altro di loro li attendeva.
Quindi, come era accaduto altre volte nella storia dell'umanità, il rito celebrativo della Passione-Morte-Resurrezione di un Dio, o di un eroe divinizzato, dapprima epicamente narrato da un coro, si articola in episodi eseguiti da membri del coro che, sempre più vivamente, col passare del tempo, assumono i caratteri dei personaggi di cui cantano le parole, fino ad immedesimarsi, come «attori», perfettamente in loro.
Nella liturgia dell'Ufficio notturno della Pasqua, i tre cantori che uscivano dal coro, venivano dunque a impersonare le Marie che, muovendosi verso un altare, che assumeva il significato di «sepolcro», dialogavano cantando, infine, con un altro di loro che stava a impersonare l'angelo.
Ora, la variante, apportata al testo canonico dai musicisti di S. Gallo, rapidamente accolta e imitata nei diversi monasteri benedettini e nelle chiese basilicali e cattedrali, iniziò un processo creativo, che portò la funzione liturgica da una dimensione originariamente teologico-simbolica a un'esemplificazione per episodi nodali della storia religiosa, che, col passar del tempo, acquistò caratteri sempre più realistici e una corposità rilevante.
Intanto l'originario tropo:
già nel Tropario di S. Gallo (cod. 484, dell'inizio del X secolo) aveva ricevuta la forma compiuta:
Qualche decina d'anni dopo, il tropo era diventato un Ufficio drammatico, chiamato Visitatio Sepulchri (Visita del sepolcro), di notevole estensione; si legga la suggestiva testimonianza di un benedettino inglese del X secolo Ethelwold, abate di Abingdon nel 954, compresa nell'opera Regularis concordia, in cui, dopo una premessa che ne illustra il fine pedagogico, descrive la cerimonia secondo l'uso praticato a Fleury sur Loire e a Gand:
L'Ufficio drammatico è, dunque, strutturato come un breve dramma a quattro personaggi, l'angelo e le tre Marie, che, appresa la grande notizia della resurrezione, la comunicano cantando al coro, che così viene ad assumere il ruolo dell'assemblea dei Discepoli.
[...] Dopo quella originaria, descritta da Ethelwold, la seconda fase, dunque, prevede l'apparizione di nuovi personaggi: gli apostoli Pietro e Giovanni, che udito l'annuncio delle Marie, accorrono al sepolcro; la terza fase, infine, s'arricchisce dell'improvvisa comparsa del Cristo stesso che, dopo l'incontro fra le Marie e l'angelo, la corsa dei due apostoli al sepolcro, appare nell'orto alla Maddalena.
Dobbiamo tentare di immaginare la suggestione di questa liturgia drammatica, celebrata col canto gregoriano e moderata gestualità, nelle austere chiese preromaniche illuminate dalle torce, l'emozione che commuoveva i fedeli, molti dei quali erano discendenti dei barbari recentemente convertiti, che, nell'ignoranza assoluta del latino ecclesiastico, potevano finalmente, grazie all'Ufficio drammatico, partecipare consapevolmente alla liturgia della Resurrezione. La funzionalità pedagogica (di una comunicazione audio-visiva, diremmo oggi) che consentiva anche agli analfabeti di comprendere, attraverso le immagini (ricordiamo l'ammonimento di Gregorio Magno al vescovo Sereno di Marsiglia), i fatti storici su cui si fondava il patrimonio della fede, fu certo la principale ragione che, condivisa dall'autorità ecclesiastica, consentì lo sviluppo e il rapido diffondersi dell'Ufficio drammatico nelle chiese d'Europa.
Quem quaritis in presepe, pastores, dicite? | Chi cercate nel presepe, ditelo, o pastori? |
Salvatorem Christum Dominum, infantem pannis involutum secundum sermonem angelicum. | Il Signore e salvatore Gesù Cristo, un pargolo avvolto tra fasce secondo la parola dell'angelo. |
Adest hic parvulus cum Maria matre sua, de qua dudum vaticinando Isaias dixerat propheta: «Ecce, virgo concipiet, et pariet filium». Et nunc euntes dicite, quia natus est. | È qui il piccino con Maria, sua madre, a proposito della quale il profeta Isaia da tempo aveva predetto: «Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio». Ora andate e dite a tutti che egli è nato. |
Alleluia, alleluia. Iam vere scimus Christum natum in terris, de quo capite omnes cum propheta, dicentes: | Alleluia, alleluia. Adesso sappiamo bene che Cristo è nato in terra. Pensando a lui cantate tutti e dite con il profeta Isaia: |
Puer natus est nobis, et filius datus est nobis, cuius imperium super humerum eius. Et vocabitur nomen eius, magni consilii angelus. | Un bambino è nato per noi, un figlio ci è stato donato: egli avrà sulle spalle il potere. Il suo nome sarà messaggero e consigliere ammirabile. |
Ci pare opportuno, a questo punto, offrire al lettore il testo dell'Ufficio drammatico della Visitatio Sepulchri, nella sua fase più completa, come ci è stata conservata in un codice proveniente dal monastero di St. Benoît sur Loire, a Fleury, il centro benedettino che era stato fra i primi a sperimentare la novità del tropo e a offrire il modello esecutivo a Ethelwold.
La prima di loro dica | Ohimè, è morto il pastore pio | da ogni colpa immune. | O sventura degna di pianto! |
la seconda | Ohimè, è morto il pastore vero, | che ai morti portò la vita. | O morte degna di pianto! |
la terza | Ohimè, l'iniqua gente di Giuda | di che insana pazzia freme! | Plebe maledetta! |
La prima | Perché a morte empia il pio | condannasti, invidiosa e crudele? | O ira senza nome! |
la seconda | Di che fu colpevole il giusto | per essere appeso alla croce? | O gente maledetta! |
la terza | Ohimè, che cosa faremo, infelici, | prive del dolce maestro? | O sorte degna di pianto! |
La prima | Andiamo in fretta al sepolcro: questo solo possiamo fare devotamente. |
la seconda | Con aromi e unguenti preziosi ungiamo il corpo santissimo affinché la preziosa |
la terza | mescolanza del nardo impedisca che si dissolva nel sepolcro quella carne beata. |
Giunte che saranno nel coro, le tre marie vadano al sepolcro, e come se cercassero qualche cosa cantino tutte insieme questo verso: | |
Ma non possiamo far questo senza un aiuto: chi toglierà la pietra che chiude il sepolcro? | |
Ad esse risponda un angelo, seduto di fuori, davanti al sepolcro, ricoperto di una veste bianca con filamenti d'oro; avrà sul capo una mitria, ma senza diadema, nella mano sinistra un ramo di palma, nella destra un candeliere con molte candele; e dica con voce moderata e alquanto grave: | |
Chi cercate nel sepolcro, o cristiani? | |
le donne | Gesù Nazareno crocifisso, o abitante del cielo. |
E ad esse risponda l'angelo | Perché, o cristiani, cercate un vivente fra i morti? Non è qui, è risorto, come ai discepoli aveva predetto. Ricordate ciò che un giorno vi disse in Galilea, dovere il Cristo patire, ma dopo tre giorni risorgere nella gloria. |
le tre donne rivolte verso il popolo cantino | |
Al sepolcro del Signore piangenti siamo venute; un angelo di Dio vedemmo lì presso seduto: e ci disse che è risorto da morte. | |
Dopo di che maria maddalena, lasciate le altre due Marie, si avvicini al sepolcro e vi guardi dentro più e più volte dicendo | |
Oh, dolore, e di dolore acerbissima pena, della presenza del maestro diletto son priva! Chi ha tolto alla tomba un corpo così caro? | |
Poi si diriga velocemente verso coloro che, ritti in piedi, devono rappresentare Pietro e Giovanni; e giunta loro innanzi dica con volto triste | |
Han rubato il mio Signore, e non so dove l'han posto; il sepolcro è stato trovato vuoto: dentro non c'è che il sudario, con la sindone. | |
I due apostoli, a queste parole, si dirigano velocemente verso il sepolcro, fingendo di correre,- il più giovane, cioè Giovanni, giunto prima, si fermi davanti al sepolcro; il più anziano, cioè Pietro, arrivato dopo, vi entri invece subito: e Giovanni dopo di lui. Appena usciti fuori GIOVANNI in atteggiamento di stupore dica | |
Mirabili cose vedemmo! O di nascosto fu tolto il Signore? | |
E a lui pietro | Anzi, come predisse da vivo, è risorto, io credo, il Signore! |
giovanni | Ma perché nel sepolcro ha lasciato il sudario e insieme la sindone? |
pietro | Perché a lui risorgente necessari non erano e sono, invece, la prova che è veramente risorto. |
Allontanatisi Pietro e Giovanni,maria maddalenasi avvicini al sepolcro, e prima dica | |
Oh, dolore, e di dolore acerbissima pena | |
e il resto come sopra. E a lei rivolgano la parola due angeli seduti un po' più dentro il sepolcro dicendo | |
Donna, perché piangi? | |
maria | Perché hanno portato via il mio Signore, e non so dove l'han posto. |
un angelo | Non piangere, Maria, il Signore è risorto, alleluia! |
maria | Arde il mio cuore dal desiderio di vedere il mio Signore, cerco e non trovo dove l'han posto, alleluia! |
Poi venga un personaggio preparato a somiglianza di un ortolano, e stando ritto davanti al sepolcro dica | |
Donna, perché piangi? Chi cerchi? | |
maria | Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto ed io andrò a prenderlo. |
e quello | Maria! |
la donna gli cada ai piedi e dica: | |
Maestro! | |
Ma egli si tiri indietro, e come desideroso di evitare il suo contatto dica | |
Non toccarmi, non ancora sono asceso al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro. | |
E così se ne vada l'ortolano. maria invece, rivolta al popolo, dica | |
Rallegratevi con me, voi tutti che amate il Signore: poiché colui che cercavo mi è apparso, e mentre piangevo presso il sepolcro vidi il mio Signore, alleluia. | |
Allora i due angeli escano davanti all'entrata del sepolcro, così da apparire fuori, e dicano | |
Venite a vedere il luogo ove era posto il Signore, alleluia! Non abbiate timore, deponete dal volto ogni tristezza, annunziate che Gesù è vivo; recatevi in Galilea, se lo volete vedere, affrettatevi. Correte a dire ai discepoli che il Signore è risorto, alleluia! | |
Allora le donne staccandosi dal sepolcro dicano alla folla | |
È risorto dal sepolcro il Signore, che per noi pendette dal legno, alleluia! | |
Ciò detto spieghino la sindone dicendo alla folla | |
Guardate, voi tutti, del corpo beato, la sindone è questa che a terra giaceva abbandonata, nel sepolcro vuoto. | |
Poi depongano la sindone sopra l'altare; indi, con essa ritornando, cantino alternativamente i versi seguenti | |
Dica la prima | È risorto, oggi, il Dio degli dèi! |
la seconda | Invano sigilli il sepolcro, popolo di Giuda! |
la terza | Unisciti ormai col popolo dei cristiani. |
Poi ancorala prima | È risorto, oggi, il re degli angeli. |
la seconda | È tolta alle tenebre la schiera dei beati. |
la terza | È aperta la porta del regno dei cieli! |
Durante il canto, colui che prima era stato l'Ortolano venga innanzi con l'aspetto del SIGNORE NOSTRO, ricoperto di una dalmatica bianchissima e avvolto da bende preziose il capo recante una mitria ugualmente candida; la mano destra rechi una croce con lo stendardo, la sinistra un testo dei «VANGELI», ornato d'oro. E dica alle donne | |
Non temete! Andate, annunciate ai miei fratelli che si rechino in Galilea; là mi vedranno, come ho loro predetto. | |
il coro | Alleluia, è risorto oggi il Signore! |
Finito il canto, dicano tutti insieme | |
O leone forte, Cristo, figlio di Dio. | |
e il coro intoni | Te Deum laudamus. |
Per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo dell'Ufficio drammatico (che si è poi evoluto come abbiamo visto, in Visita del Sepolcro), in territorio italiano, la discussione fra gli specialisti è stata intensa e accanita; alcuni sostenevano, addirittura, che l'originario tropo Quem quaeritis era stato sperimentato, prima che in Francia e a S. Gallo, in monasteri benedettini italiani e, anche recentemente, un musicologo tedesco [Lippardt 1977] ha sostenuto la tesi che i tropi più arcaici sono di provenienza dei monasteri delle aree territoriali già occupate dai Longobardi.
Quando si ricordi che all'origine della liturgia gregoriana c'è l'attività, sviluppatasi sul piano europeo, delle scholae del Vaticano e del Laterano, e che furono i maestri romani a diffondere i modi del canto nei principali centri monastici, della Francia come del mondo germanico, questa discussione sui primati perde ogni interesse; l'origine certo fu romana, ma lo sviluppo, prodotto dal bisogno di «comunicare» è certo maggiormente spiegabile nei paesi di recente evangelizzazione e di minor conoscenza della lingua latina.
Quanto ai testi, conservati dai manoscritti, essi ci dimostrano che, nell'XI secolo, tropi erano eseguiti regolarmente nei monasteri di Bobbio, a S. Pietro in Abruzzo, a Monza, a Mantova, a Montecassino, a Ivrea, all'abbazia della Novalesa, nel secolo XII, a Vercelli, Ravenna, Benevento, Piacenza; sono ventitré, in tutto, i centri italiani nei quali è documentata la pratica dei tropi.
Col passare del tempo, con lo stesso processo creativo che aveva dato origine all'Ufficio drammatico pasquale, vennero prodotti altri Uffici, che drammatizzavano altri momenti significativi della vita del Cristo, e che si eseguivano regolarmente in occasione delle festività corrispondenti, nel corso dell'anno liturgico. Per quanto riguarda, in particolare, l'area italiana, sono stati reperiti documenti su Uffici drammatici concernenti, oltre il diffusissimo Ufficio del Sepolcro, L'Annunciazione, L'Ufficio dei Pastori, La Purificazione, L'Ufficio dell'Epifania, Passione e Resurrezione, L'apparizione ad Emmaus, L'Uffico dell'Ascensione, La Pentecoste e il Ludus Dei, più tardo il Planctus Mariae e più complesso l'Ufficio del Quarto Milite.
Nel secolo XI, si inserisce, nel testo della Visita del Sepolcro, la sequenza attribuita a Wipone (1049), cappellano di Corrado II e di Enrico III, Victimae paschali laudes immolent christiani (Alla vittima pasquale innalzino lodi i cristiani) che, dopo i primi due versi, è tutto dialogato: parlano i discepoli, ansiosi di conoscere la pia spedizione di Maddalena, e poi costei che dà loro l'annunzio dell'avvenuta resurrezione. Si tratta, dunque di un ulteriore ampliamento della materia drammatica; il processo continuerà inarrestabile, il racconto si estenderà dal processo di Cristo, alla cattura, alla via Crucis, alla Crocifissione, si aggiungerà a quel punto il Planctus Marie, poi si giungerà al punto originario: la Visitatio Sepulchri, ma ormai l'Ufficio drammatico pasquale sarà diventato dramma, un dramma corale di notevoli dimensioni.
Già alla fine dell'XI secolo il vescovo Onorio d' Autun († 1137) sovrapponeva il sacerdote officiante all'attore tragico:
Onorio riconosce dunque nel sacerdote il ruolo di un attore tragico per un sacrificio espiatorio ove il corpo del Figlio è simbolicamente immolato, attraverso il rituale della parola, nel deicidio consentito dal Padre.
In questo theatrum Ecclesiae lo stesso spazio architettonico è permeato, per i credenti, dalle verità della fede; il portico o l'antichiesa della facciata, vengono designati col nome di Galilea e possono figurare come trasposizione scenica d'un giudizio universale aperto ai significati e alle funzioni contrastanti – come le statue e i fregi che l'adornavano – di inferno e paradiso. All'interno della chiesa l'altare maggiore assume la valenza allegorico/simbolica del sepolcro quale luogo del martirio/resurrezione, ma il sovrastante ciborio – con le
cortine a protezione del momento eucaristico – può, nella liturgia natalizia, serbare o mostrare a sorpresa un'icona della Vergine con il Bambino.
All'assemblea dei fedeli le processioni rituali del calendario liturgico rendono familiari gli spazi emotivi scanditi dal drammatico articolarsi in stazioni della via crucis: una sorta di perenne e sofferente raccordo con la cripta, grotta mistica della Natività o sepolcro di Resurrezione, che si deposita nell'immagine ambivalente di culla e di tomba.
Allo spettacolo liturgico s'accompagna la musica e il canto corale dei Salmi in forma di antiphonia – due semicori che si rispondono
ad eco quasi recuperando nella dialogicità tra officiante e semicori lo schema del dramma classico.
I caratteri spettacolari più marcati dei rituali liturgici, quelli emotivamente più forti, si manifestarono soprattutto nella liturgia pasquale della Settimana santa con l'evocazione di Passione, Morte e Resurrezione del Cristo.
Questi eventi si offrivano all'arricchimento/ variazione (tropo) d'un momento liturgico e così avviene che il breve testo del Quem quaeritis, il "Chi cercate?" intonato dai monaci all'introito della messa pasquale – celebrata nella notte del Sabato santo – incomincia progressivamente ad accentuare la teatralità della struttura dialogica implicita nella visita delle tre Marie al sepolcro. Il corista che, in abito bianco, interpretava l'angelo, si colloca presso l'altare mentre i tre cantori scendono dai loro stalli spostandosi al centro del coro per rappresentare le tre donne e iniziare il dialogo cantato.
Quando poi l'ufficio pasquale delle comunità monastiche si apre, prima ai famigli e ai conversi del monastero, poi al pubblico dei fedeli, l'interrogazione dell'angelo e il suo annuncio di resurrezione si corredano di elementari accessori scenografici per visualizzare il momento della Visitatio: la cerimonia disponeva d'un avello, d'un lenzuolo sepolcrale e d'una croce. Mentre si recita il terzo responsorio, il monaco che rappresenta l'angelo va a sedere sulla vuota tomba e i tre frati in cappa avanzano nell'atteggiamento di tre donne titubanti: al "Chi cercate nel sepolcro, o cristiani?", intonato dolcemente in tono medio, i tre rispondono a una sola voce: "Gesù Nazareno crocifisso, o abitante del cielo"; e il canto dialogato sollecita il coro in antifona, sino all'astensione del Sudario estratto dal sepolcro senza la Croce, metonimia del corpo sacrale che vi era avvolto. Con l'esplosione trionfale dell'Alleluia nel "teatro ecclesiale" l'abbagliante simbologia del bianco – colore della morte/resurrezione – celebra l'apoteosi d'un Corpo invisibile che vince la finitudine e la colpa del sepolcro trionfando nella gloria dei cieli.
Successivamente la Visitatio si amplia agli apostoli Pietro e Giovanni che, ricevuto l'annunzio delle donne, a loro volta accorrono al sepolcro e il coro si adegua alla funzione di patetico commentatore dell'azione. Solo nella seconda metà del XIII secolo la Visitatio si arricchisce con il personaggio del venditore di balsami, l'unguentarius, che fornisce i balsami per lenire le piaghe del corpo di Cristo, e in chiusura s'aggiunge il colpo di scena d'un Cristo risorto che, prima di rivelarsi nel suo fulgore, appare alla Maddalena ancora nei sembianti d'un ortolano.
L'ampliamento dialogico progressivamente si estende alla cattura di Cristo, al processo, alla via crucis, alla Crocifissione, sino al planctus Mariae. Attraverso queste articolazioni si attua una proliferazione di temi e di personaggi che configura un vero e proprio dramma sacro. Il teatro religioso è ormai subentrato all'ufficio liturgico e preannuncia il ritorno del teatro nell'Europa occidentale.
Uno degli esemplari più notevoli del Dramma della Passione, conservato nella raccolta dei Carmina Burana, risale alla seconda metà del XII secolo e sceneggia l'intera sequenza di eventi che porta il Cristo sulla croce del Golgota. La didascalia d'apertura chiama in scena Pilato ed Erode con i loro soldati mentre il Signore avvia l'azione chiamando a sé i pescatori Pietro e Andrea. Dopo la guarigione del cieco, il coro canta l'entrata di Gesù in Gerusalemme ed è l'invito del Fariseo alla sua cena a propiziare l'episodio della Maddalena. La donna sottolinea uno splendore di cortigiana recitando in tedesco il suo avido piacere per le gioie del mondo: "Nelle sue letizie io voglio ardere, nessuna lascivia evitare [. .. ]. Guardatemi, giovinotti, e lasciate che io vi piaccia"; l'assecondano il mercante di profumi e un amatore, ma il colpo di scena di una notturna apparizione angelica induce la peccatrice alla sua salvifica peripezia. Il suo mantello nero allontana l'amante e il diavolo, non senza che il fariseo, in controcanto comico, dubiti della virtù profetica di chi si lascia abbracciare e ungere i piedi
da una meretrice; Giuda non è da meno deplorando lo spreco di odoroso balsamo. Seguono la resurrezione di Lazzaro e il tradimento dell'Iscariota, la veglia angosciata di Gesù sul monte Oliveto mentre i quattro discepoli s'abbandonano al sonno. La cattura confronta il pubblico con il rinnegamento di Pietro e la consegna dell'innocente da Pilato ad Erode. Prima che la croce sia issata, la didascalia prescrive al diavolo di condurre un Giuda pentito e piangente ad impiccarsi. Sostenuta da Giovanni avanza Maria a gemere lo strazio del morente con tre strofe in antico tedesco cui segue, in latino, il lamento:"Piangete o anime fedeli", ove affiora il dramma accettato e vissuto sin dal momento dell'Annunciazione: "Il segreto nascosto nella mia mente di Vergine [ ... ] la spada che mi trafigge".
Accanto al Dramma della Passione assume una scansione altrettanto complessa e spetta colare quello della Natività o Ludus de nativitate che in occasione del Natale finisce a sua volta, per unificare ed elaborare altri uffici liturgici connessi al tema della nascita di Gesù.
Quanto alla spettacolarità visiva (opsis) dei costumi e dei movimenti (coreutica), un vero e proprio trionfo d'apparati presuppone il Dramma dell'Anticristo che, inscenato nelle chiese tedesche del XII secolo, lega l'apparizione della apocalittica figura alla fine dell'Impero romano e cristiano. Più di 100 didascalie, su un insieme di 416 versi, regolano le azioni di quest'oratorio poetico-musicale in cui davanti al pubblico degli attoniti fedeli l'esercito dell'imperatore affronta i Franchi, sottomette il re dei Greci mentre il re di Babilonia assedia Gerusalemme; allora l'imperatore si scontra col re babilonese e insedia la Chiesa nel tempio, salvo che l'Anticristo con l' appoggio degli Ipocriti e di Eresia seduce e sottomette al suo potere il re dei Greci e dei Franchi, convince il re dei Tedeschi con tre falsi miracoli, consacrandolo poi a soggiogare con lui i pagani idolatri e la Sinagoga. Restano ora solo i profeti Elia ed Enoch, conservati dal Messia per opporre un'ultima resistenza; mentre l'Anticristo celebra la sua apoteosi, la catastrofe lo travolge col fragore del terremoto e la chiesa alza il suo canto:"Io sono come ulivo fruttifero nella casa del Signore".
Dal XII secolo in poi l'oratorio dell'Anticristo avvia, con la coralità dei suoi effetti spettacolari, un ciclo di rappresentazioni che si svilupperà in varie forme presso quasi tutte le chiese dell'Europa occidentale.
Alla ricreazione teatrale il dramma sacro dedica ormai, oltre agli spettacoli connessi all'ufficio drammatico, testi estrapolati dai Vangeli e dal leggendario dei santi, ma resi innovativi attraverso invenzioni tematiche e farciture dialettali. Questi espedienti, ad uso del pubblico popolare, li ritroviamo nella struttura dello Sponsus prodotto dai cluniacensi in terra d' Aquitania ove fiorisce anche l'arte trobadorica. Lo Sponsus sceneggia la parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte, che non hanno alimentato l'olio delle lampade, curvando l'attesa e l'arrivo del Cristo al significato d'un irrevocabile giudizio finale.
Singolari scostamenti tematici si registrano invece in alcuni testi prodotti nell'abbazia di Fleury; tra di essi un ciclo di "miracoli" che s'ispira al leggendario di san Nicola [Orléans, BM, 201, ff. 176-243].
Il primo, Le tre ragazze, inscena il provvidenziale lancio di tre borse d'oro nella casa d'un padre caduto in miseria: la figlia maggiore si era infatti rassegnata a prostituirsi ma – come le altre due – trova marito proprio grazie alla dote tempestivamente fornita dal santo.
L'altro, titolato Tres clerici, mostra una vecchia coppia di affittacamere che ospitano tre studenti e li uccidono nel sonno per appropriarsi della loro borsa rigonfia; ma l'arrivo di san Nicola propizia la contrizione dei peccatori e la resurrezione dei giovanotti.
Un terzo prodigioso evento è rappresentato in Il figlio di Gettone ove si assiste al rapimento del figlioletto del re che, divenuto schiavo del pagano Marmorino, difende la sua fede sino a quando le invocazioni della madre inducono san Nicola a ricondurre il piccolo davanti alle porte della città.
Ancora san Nicola è protagonista di uno spettacolo, il Ludus super icona Sancti Nicolai: quando i ladri sottraggono un prezioso scrigno al santo/statua non resta che animarsi inseguendo i responsabili e minacciandoli di impiccagione.
A questo punto il teatro religioso, sebbene ancora in forma embrionale, verbalizza e s'appropria della comica hilaritas insita in quella parodica mescolanza di sacro e profano che la Cena Cypriani aveva già esaltato con le modalità della pantomima.
[...] Una volta ammesso [la rappresentazione] nel contesto del culto, non era più possibile fermarsi.
I capi della Chiesa lo riconobbero chiaramente come fatto compiuto alla fine del XII secolo, quando un poeta anglo-normanno scrisse un dramma (più probabilmente in Inghilterra che in Francia) su Adamo ed Eva, intitolato Ordo Representationis Adae (meglio noto come Jeu d’Adam) per una rappresentazione che si tenne probabilmente fuori della chiesa, sul sagrato. Il titolo è doppiamente significativo, perché da una parte ritiene il liturgico Ordo (letteralmente «rito») latino, che indica la sua origine, e dall’altra aggiunge la teatrale Representationis, indicativa dei cambiamenti verificatisi nel corso di due secoli.
Ordo, nella terminologia liturgica, era intercambiabile con Officium, e i primi drammi liturgici cantati sono registrati sotto l’una o l’altra di queste rubriche. Possiamo quindi dire, con una certa pretesa di accuratezza, che i primi promotori delle ri-attualizzazioni dei testi biblici erano ignari di un eventuale conflitto tra la drammatizzazione di testi storici e l’intrattenimento nel senso laico della parola.
Ma fu proprio questo il dilemma che si presentò loro quando, agli uffici della Visita al Sepolcro e della Visita al Presepe, si aggiunse l’Officium Stellae (l’Ufficio della Stella, o Visita dei Re Magi). L’elemento catalizzatore fu il re Erode da cui si recano i tre nobili stranieri per ottenere il permesso di visitare Betlemme: Erode chiede loro di riportare a lui personalmente, prima di tornare in patria, quello che hanno visto. Ammoniti da un sogno a non farlo, tornano a casa per un’altra strada, ed Erode, nell’impeto della collera, ordina ai soldati di uccidere tutti i bambini sotto i due anni. [...]
Sia nelle parole che nei gesti Erode doveva quindi comportarsi in modo disdicevole, spregevole e barbaro. Deliberato a compiere un regicidio, e deicidio, le sue azioni sono manifestamente blasfeme. Sulla scena, emozioni e scelte di tal genere devono necessariamente essere rispecchiate in atteggiamenti, comunicazione verbale e gesti che sono o feroci o ridicoli, possibilmente un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. In questo, grande deve essere stata la tentazione di attingere alla lunga esperienza e alla tecnica sicura agli intrattenitori popolari delle feste e dei mercati di paese del mondo laico. [...]
Nell’Officium Stellae il limite era raggiunto nel contegno attribuito ai soldati – brutali, licenziosi e (anacronisticamente) seguaci di Maometto – e alle madri, così inermi contro di loro. La strage che seguiva non poteva non trasformarsi in Ludus, lotta o dramma. Alla fine del XII secolo questo aspetto si era sviluppato a tal punto che la badessa di Hohenburg, vicino Strasburgo, si sentì in dovere di reagire contro tale esibizione di «irreligiosità e dissipazione con tutto l’abuso della gioventù». Le sue rimostranze hanno descrizioni vivide: «I sacerdoti – scrive – cambiatisi d’abito, avanzano come una schiera di guerrieri... la chiesa è profanata da festini e bisbocce, buffonerie, scherzi indecenti, da recite e dal clangore delle armi, dalla presenza di ragazze svergognate...».
Alla luce di una suscettibilità oltraggiata come questa, è ovvio che ogni residua parvenza di ufficio liturgico è sparita, sommersa dalla teatralità della recitazione drammatica. Tradotto in termini concreti e letterali ciò significa che la platea latina di cui parlano i libri liturgici – «il luogo» – si era trasformata in ciò che noi chiamiamo «arca d’azione»; allo stesso modo le latine «sedes» (letteralmente «sedili») dei personaggi che riproducevano l’evento storico, si erano ampliate fino a diventare luoghi scenici identificabili. [...]
Le entrate e le uscite venivano normalmente effettuate ricorrendo a fastose processioni cerimoniali. Le troviamo illustrate graficamente nelle rubriche di un dramma corale piuttosto lungo sul profeta Daniele, appartenente ai primi anni del XIII secolo ed intitolato semplicemente Ludus Danielis. Fu scritto dagli studenti della cattedrale di Beauvais per essere rappresentato la vigilia di Natale, ed è composto parte in latino e parte in francese; ma anche questo dramma, nel re Baldassarre e nel re Dario, contiene personaggi che sono miscredenti, blasfemi senza fede, tiranni. Sono entrambi personaggi melodrammatici e vogliono essere rappresentati come spauracchi, che incutono paura, eppure assurdi; uno stile di recirazione che soddisfi questi requisiti, tuttavia, rischia di frantumare la restrittiva cornice formale da icona devozionale [...]
Una risposta, o piuttosto un compromesso, era di spostare queste rappresentazioni dalla messa al Mattutino o al Vespro dello stesso giorno; un’altra era di spostarle dal luogo consacrato in qualche zona più pubblica dell’edificio, o addirittura nelle immediate vicinanze all’esterno, tempo permettendo; [...] Il Ludus de Antichristo, sebbene sia composto in latino e all’apparenza sia ritualistico come un qualsiasi officium è detto ludus, mescola liberamente personificazioni astratte e personaggi storici e per questo potrebbe essere scambiato per un dramma molto più tardo. Richiede almeno sessanta attori e sette luoghi scenici; contiene anche quattro scene di battaglia.
Padova e Cividale sono i due centri dell'Italia nord-orientale che conservano le testimonianze più consistenti e interessanti delle rappresentazioni drammatiche che, durante il Medioevo, accompagnavano le celebrazioni liturgiche. Nella cattedrale di Padova, in particolare, gli uffici drammatici costituirono una pratica persistente ed estesa, che si può ricostruire attraverso una serie di fonti manoscritte dei secoli xii-xv conservate nella Biblioteca Capitolare presso la Curia vescovile: il Liber Ordinarius ms. E57 (sec. xiii) e i due Processionali mss. C55 e C56 (sec. xiv-xv).
Nel ricco e vario repertorio liturgico-musicale della tradizione padovana, spiccano per dimensione e qualità i canti destinati al triduo sacro e alla Visitatio sepulchri. Durante la celebrazione dell'ufficio pasquale, infatti, quando il mistero della passione si svela nel trionfo della resurrezione, il rito celebrato nella cattedrale si trasformava in un vero e proprio dramma liturgico, recitato e cantato da attori, con il supporto di una messinscena adeguata agli avvenimenti rappresentati.
L'origine della Visitatio sepulchri risale ai primi decenni del sec. x, quando il testo dialogato del Quem quaeritis in sepulchro, utilizzato come tropo all'introito della messa di Pasqua, ad esempio nei monasteri benedettini di San Marziale di Limoges (Paris, Bibl. Nat., Lat. 1240) e di San Gallo (Stiftsbibliothek, ms. 484), fu introdotto anche nell'ufficiatura del Mattutino dopo l'ultimo responsorio, Dum transisset sabbatum, e prima del Te Deum conclusivo. Con questa funzione, il Quem quaeritis è rubricato nella Regularis Concordia (London, British Museum, ms. Cotton Tiberius a.iii), dove sono indicate precise modalità per rappresentare la visita delle Marie al sepolcro. Il testo, che riprende disposizioni già presenti nelle Consuetudines del monastero di Fleury (St. Benoit-sur-Loire), descrive le azioni svolte dai chierici e prevede un'apposita messinscena, con l'uso di lenzuola (linteamina) e di una tenda (velum) appesa davanti all'altare che funge da sepolcro.
Nella fase iniziale la rappresentazione si riduceva al canto del testo del Quem queritis e dell'antifona Surrexit dominus, come testimoniano gli esempi provenienti dai monasteri di St. Emeran a Ratisbona (Bamberg, Staatsbibliothek, ms. lit. 6) e di St. Alban a Magonza (Vienna, Nationalbibliothek, ms. 1888). Nel Tropario di Winchester (Oxford, Bodleian Library, ms. 775), invece, risulta aggiunta una seconda antifona, Venite et videte locum, che risulta rubricata anche nella Regularis Concordia.
In seguito, tra i secoli xi e xii si affermò una lezione più sviluppata con una marcata accentuazione dei caratteri drammatici della cerimonia e una maggiore articolazione del dialogo, come dimostrano l'introduzione della corsa sceneggiata degli apostoli Pietro e Giovanni e l'aggiunta delle antifone Currebant duo, Cernitis o sodi e Surrexit enim (Udine, Biblioteca Arcivescovile, ms. 234). L'estensione del materiale dialogico giunse ad includere anche testi extraliturgici, come l'antifona Dicant nunc lodai (Einsiedeln, Stiftsbibliothek, ms. 366).
Rispetto a questa tradizione, le fonti che documentano la Visitatio sepulchri celebrata nella cattedrale di Padova sono più tarde, ma esse testimoniano un rito ormai compiuto e stabile, coerentemente strutturato nei singoli aspetti. Pur nella sostanziale fedeltà ai testi originari, la lezione padovana del dramma della resurrezione risulta arricchita di nuove intonazioni, presuppone una regia circostanziata e si presenta come parte integrante di una celebrazione liturgica più ampia e unitaria, che incomincia con la Depositio crucis, prosegue con l'Elevatio crucis e, quindi, con la Visitatio sepulchri, per concludersi con la processione che precede la Missa maior del giorno di Pasqua.
L'ampia rappresentazione ha luogo nella cattedrale e inizia il venerdì santo con l'adorazione della croce, quando i suddiaconi, riuniti con il vescovo dietro l'altare maggiore, prendono la croce coperta da un drappo e, assieme al cantor, si dirigono in coro, davanti all'altare. Poi scendono dal presbiterio «a latere aquilonis» e posizionano la croce prima «iuxta pergum», successivamente «ad gradus» davanti all'altare della Santa Croce, collocato al centro del transetto «sub podiolo ante chorum». | Venerdì
santo: [trasferimento della croce] |
Infine, dopo essere stata scoperta, la croce viene posta «super pavimentum» della chiesa per essere adorata e baciata dai presenti. Durante l'esposizione, due sacerdoti che seguono la croce intonano gli Improperia e due scolari «discalciati», uno dietro e l'altro davanti la croce, rispondono ad ogni versetto cantando in ginocchio Agyos, che il coro, a sua volta inginocchiato «cum populo», completa eseguendo Sanctus Deus. | Depositio crucis |
Nei
due Processionali C55 e C56 l'adorazione e il bacio della croce sono
introdotti dal canto dell'antifona Crucem tuam. Segue poi l'inno Crus
fidelis intonato da due chierici ai quali i cantori, suddivisi in due
semicori, rispondono in forma responsoriale, alternando alle singole strofe i
versetti Crux fidelis e Dulce lignum. A questo punto C55 e C56
prescrivono il canto del testo Flete, fideles animce, un lungo planctus eseguito dalla Madonna in dialogo con l'apostolo Giovanni. Nell'Ordinario E57, invece, è rubricato il rito della comunione, per cui un diacono e due suddiaconi devono prelevare l'ostia, il calice e le ampolle dell'acqua e del vino dalla sacrestia maggiore per portarli, assieme al magister scholarum, all'altare della Santa Croce, cantando «submissa voce» l'antifona In spiritu humilitaris. Conclusa la comunione, il vescovo prende la croce e, accompagnato da tutto il clero, la depone nel sepolcro predisposto presso l'altare di S. Daniele, nel lato meridionale del transetto, cantando il responsorio Vadis propiciator. Al termine del rito, il vescovo dà in custodia il sepolcro al sacrista e tutti ritornano in coro, cantando «submissa voce» il responsorio Sepulto domino. |
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Nella notte della resurrezione, quando ha inizio la celebrazione del Mattutino della festa di Pasqua, i custodi prelevano la croce dal sepolcro e, «dimisso pallio», la collocano sopra l'altare della Santa Croce. Dopo le letture, il coro dei chierici scende «in corpore ecclesie», portando dei ceri ed eseguendo il responsorio Dum transisset sabbatum [a]. | Domenica di Pasqua: Elevatio crucis |
Terminato il responsorio, tre scolari vestiti come fossero le tre Marie si dirigono al sepolcro di Cristo con un turibolo e degli unguenti, accompagnati dal magister scholarum o dal cantor e intonando «plana voce» il verso Nos mulieres [b]. Così cantando, le tre Marie attraversano il coro dei chierici e raggiungono l'altare di S. Daniele dove, «superius» vicino al sepolcro di Cristo, si trovano due scolari vestiti come due angeli preparati «cum alis et liliis» fra le mani. Quando le donne giungono al sepolcro, gli angeli intonano il dialogo Quem quceritis in sepulchro [c], dopo il quale in C55 e C56 segue il planctus di Maria Maddalena, O Ihesu, rex saeculorum [d]. | Visitatio sepulchri |
All'annuncio della resurrezione, gli angeli scendono per le scale «versus aquilonem», mentre le Marie salgono al sepolcro lungo le scale «versus meridiem» e, non trovando il corpo di Cristo, prendono il drappo che ricopriva la croce, si dirigono verso l'ingresso dell'altare di S. Daniele, «ad cancellos», e lo espongono alla vista di tutti come prova del Cristo risorto, cantando l'antifona Surrexit dominus [e]. Subito dopo il magister scholarum e il cantor intonano il verso Dic nobis Maria [f] [dalla sequenza Victimae Paschali laudes], che viene alternato in forma responsoriale alle strofe successive della sequenza di Pasqua cantata da Maria Maddalena e conclusa dal coro. | [resurrezione di Cristo] |
Dopo la sequenza, E57 prescrive che due chierici intonino l'antifona Dicant nunc Iudaei [g] presso l'altare di San Daniele. | |
Conclude la celebrazione del Mattutino l'esecuzione del Te Deum [h], che tutto il clero della cattedrale deve cantare mentre fa ritorno in coro. | |
Dopo il canto delle Lodi e prima della
messa solenne, il giorno di Pasqua è prevista una solenne processione
che coinvolge il vescovo, i ministri impegnati nella celebrazione, i chorarii e gli scolari. Il rito inizia davanti l'altare maggiore della cattedrale, dove due chierici intonano l'antifona Populus adquisitionis, rivolti verso il clero e l'assemblea dei fedeli. Il coro risponde con l'antifona Christus resurgens ex mortuis e il vescovo asperge i presenti intonando l'antifona Vidi aquam, cantata dal coro. |
[dopo le Lodi in cattedrale] |
Tutti si dirigono processionalmente al battistero, mentre due accoliti seguono la croce alternandosi in forma responsoriale con il coro nel canto dell'inno Salve, festa dies. Usciti dal battistero, il cantor inizia l'antifona Sedit angelus ad sepulchrum e la processione fa ritorno in cattedrale «a foribus versus orientem», cioè dall'ingresso principale, mentre due canonici o due chierici che hanno preso posizione presso l'altare della Santa Croce cantano l'antifona Crucificum in cruce laudate, alla quale risponde il coro con Nolite metuere. Dall'altare di san Daniele, altri due chierici intervengono cantando l'antifona Recordamini quomodo predixit e, ancora una volta, risponde il coro con il canto dell'Alleluia. Dopo di che, inizia la celebrazione della messa. | [processione prima della messa] |
I testi e i canti per la celebrazione dei drammi pasquali sono molto caratteristici, ma non devono intendersi come indicativi del repertorio liturgico in uso nella cattedrale di Padova, che invece risulta sostanzialmente fedele all'ordo romano. L'elemento di vera specificità, messo in evidenza anche dalla tipologia della Visitatio sepulchri, sta invece nell'idea di una liturgia fondata sull'interrelazione tra lectio, actio e cantus, dove coloro che cantano assumono la rappresentanza dell'intera comunità orante.
Il ruolo dei cantores deriva dal marcato valore rappresentativo attribuito ai riti e il canto costituisce il mezzo espressivo più adatto ad una liturgia di azione, realizzata per essere dimostrazione concreta del mistero. Per questa ragione, tutto il clero della cattedrale è tenuto a svolgere il proprio ruolo in canto e il suo coinvolgimento in questo ministero non è limitato a momenti particolari, ma è continuo e deriva dal fatto che l'insieme dei riti celebrati nella cattedrale costituisce una rappresentazione, per cui gli elementi di drammatizzazione non rimangono circoscritti ad alcune celebrazioni liturgiche, ma risultano una costante
Si può capire, così, anche il probabile motivo della persistenza dei drammi liturgici, ben oltre i limiti della riforma romano-francescana avvenuta nel sec. XIII. Questo genere di testi e canti, infatti, non rappresenta una tarda sopravvivenza, perché si tratta di un repertorio in piena sintonia con le esigenze di una liturgia che, nella sua globalità, ha continuato a privilegiare la rappresentazione, attribuendo alla celebrazione dei riti un forte significato rievocativo.
— [responsorio]
[a] Dum transisset sabbatum [...]
— [azione]
[b] Tre Marie — Nos mulieres, que secute a longe sumus Hiesum, emptis aromatibus ecce veniemus ungerent eum, ut videntes resurrectionis eius mirabilia renuntiemus magna discipulis suis gaudia. Quis revolvet nobis lapidem ab hostio monumenti, ut intro euntes possimus ungere eum? Ipsum pro nobis passum ac sepultum votive laudantes querimus, ecce Dominus.
[c] Angeli — Quem queritis in
sepulcro, cristicole?
Donne — Hiesum nazarenum crucifixum, o celicole.
Angeli — Non est hic, surrexit sicut praedixerat. Ite,
nuntiate quia surrexit dicentes.
[d] Maddalena — O Ihesu, rex seclorum,| consolator
mestorum, |
susceptor contritorum, |
et sola spes merentum, |
te quero nec
invenio.
O Ihesu, Deus fortis, |
qui sceptra tenes mortis, |
qui celis
dominaris, |
et fluctus sedas maris, |
te quero nec invenio.
O Ihesu, Dei nate, |
qui sola potestate |
Lazarum suscitasti, |
quem
tu satis amasti, |
te quero nec invenio.
Quis consolari posset |
me dolentem nimium, |
quia amisi
regem |
salvatorem omnium? |
Te quero nec invenio.
[e] Donne — Surrexit Dominus de sepulcro, qui pro nobis pependit in ligno. Alleluia.
[f] Apostoli — Dic nobis,
Maria, quid vidisti in via?
Maddalena — Sepulcrum Cristi viventis et gloriam vidi
resurgentis.
Apostoli — Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?
Maddalena — Angelicos testes, sudarium et vestes.
Apostoli — Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?
Maddalena — Surrexit Cristus, spes mea, precedet vos in
Galileam.
Apostoli — Credendum est magis soli Marie veraci, | quam
Iudeorum turbe fallaci. | Scimus Cristum surrexisse |
ex mortuis vere; |
tu
nobis, victor rex, miserere. |
Alleluia.
— [antifona]
[g] Dicant nunc Iudei quomodo [...]
— [inno]
[h] Te Deum laudamus [...]
4 manoscritti, 1 con musica (F-Pn, Fr. 25566, f. 39r-48v)
Prima edizione: Coussemaker 1972 (Oeuvres complètes du trouvère Adam de la Halle): 347-412.
Traduzioni italiane:
Adam de la Halle, La commedia di Robin e Marion, ed. Elio Piattelli (Firenze: Sansoni, 1959).
—— Le jeu de Robin et de Marion, ed. Franco De Merolis (Lanciano: Itinerari, 1996).
—— Le jeu de Robin et de Marion, trad. Oreste Floquet (Napoli: Centro di Musica Antica Pietà de' Turchini, 1996).
—— Teatro, ed. Rosanna Brusegan (Venezia: Marsilio, 2004).
Marion Robin m’aime, Robin m’a; Robin m’a | demandée, si m’ara. |
Robin mi ama, Robin mi ha Robin mi ha cercata, è lui che mi avrà; |
Robin m’acata cotele d’escarlate bonne et bele, souskanie et chainturelle. Aleuriva! |
Robin mi comprò
una sciarpa di scarlatto buona e bella una casacca e un cinturino. Evviva! |
Robin m’aime, Robin m’a; Robin m’a | demandée, si m’ara. |
Robin mi ama, Robin mi ha Robin mi ha cercata, è lui che mi avrà. |
Chevalier Je me repairoie | du tournoiement, si trouvai Marote | seulete au cors gent. |
Ritonavo dal torneo ho trovato sola Marion, dal corpo gentile. |