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Nessun documento musicale dei primi secoli cristiani è pervenuto fino a noi, se si eccettua il mutilo frammento d'un inno con notazione alfabetica greca, ricavato dal papiro di Ossirinco 1786 e attribuito alla seconda metà del secolo III. Non è dunque possibile ricostruire le prime fasi del canto cristiano attraverso testimonianze dirette.
La sola via per ottenere qualche informazione sulle sue origini remote ci è offerta dallo studio della primitiva liturgia, le cui linee principali, sia pure in maniera incompleta e non organica, ci sono note attraverso gli scritti del Nuovo Testamento e dell'età apostolica. [...]
Si è soliti definirlo un «innesto», e l'immagine esprime bene l'assoluta originalità e novità d'una dottrina nata ed elaborata in Oriente secondo tradizioni culturali e religiose assolutamente estranee agli schemi dell'Occidente, ossia alla sintesi della civiltà greco-romana. Coloro che in passato hanno preteso che il canto cristiano derivasse senza rotture dal ceppo greco-romano ignoravano, o non tenevano nel dovuto conto, la radicale opposizione o l'insuperabile distanza tra il Vangelo (e la conseguente nuova visione di Dio, dell'uomo e del mondo) e la concezione pagana, perfino nella sua formulazione più nobile e alta, quella dei filosofi.
Il cristianesimo anche se da principiò fu confuso a Roma con uno dei culti che affluivano numerosi dall'Oriente portava in sé una tale carica di rinnovamento da provocare lo scoppio degli «otri vecchi» (l'espressione è di Cristo: cfr. Matteo 9,17); e ciò anche in rapporto all'ebraismo, di cui la nuova dottrina appariva come una setta. I primi missionari del Vangelo, gli apostoli, tutti ebrei, come avevano il loro peculiare metodo di predicazione, così recavano nuove forme di culto, alcune di derivazione giudaica, altre assolutamente inedite modellate sulla parola e l'esempio del Maestro.
Essi che avevano seguito Cristo fin dal principio (Giovanni 15,27), ne avevano visto le opere e udito le parole, furono in grado di divenire testimoni della sua vita e del suo insegnamento. Il loro annuncio (kérygma) riguardava anzitutto la morte e la risurrezione di Gesù; inoltre esponevano fedelmente la sua vita e ne ripetevano le parole [...]
Il culto
Lo studio della primitiva liturgia cristiana consente di risalite alla concezione del culto e alla liturgia giudaica del tempio e delle sinagoghe, che sempre più manifestamente ne appare la radice. Alcuni caratteri che attengono alla natura stessa del culto giudaico si ritrovano, amplificati, nella liturgia cristiana:
1) l'aspetto comunitario, che prima di Cristo era legato alla sola nazione ebraica, si allarga fino ad abbraccíare tutti i popoli della terra (universalismo);
2) la dimensione interiore del culto, già tema di predicazione dei profeti che invitavano alla purificazione interiore e alla conversione del cuore [...]
3) l'attesa escatologica, fondata sulla promessa che Dio libererà il suo popolo e lo chiamerà alla comunione con lui, è riproposta ai cristiani che vivono il loro culto nell'attesa fiduciosa della " parusia " di Cristo. [...]
La liturgia
L'inventario di quanto, sotto il profilo liturgico, i cristiani siano debitori verso la tradizione giudaica, comprende i seguenti punti:
1) riti battesimali in senso lato (la mediazione in questo caso è dovuta a Giovanni Battista = il battezzatore);
2) prima parte della celebrazione eucaristica comprendente letture, preghiere e canti, secondo il modello delle assemblee ebraiche: è quella che oggi si chiama liturgia della parola e coincide con la sezione didattica della messa;
3) nella liturgia eucaristica sacrificale, alcune preghiere e perfino la «prece eucaristica» (= anafora o cànone della messa) sono modellate sulle beracoth (= preghiere di benedizione) ebraiche, con l'aggiunta delle formule di consacrazione del pane e del vino usate da Cristo (se ne vedano le prime narrazioni in 1 Corinzi 11,23-26 e nei sinottici); inoltre la struttura stessa della liturgia sacrificale riprende lo schema del banchetto sacrificale ebraico, soprattutto quello di Pasqua, che era il «memoriale» della liberazione dall'Egitto e nel cui contesto Gesù volle celebrare lasua Pasqua (morte e risurrezione) e quella dei discepoli (liberazione dalla schiavitù del male);
4) adozione del calendario ebraico (ritmo settimanale), con graduale slittamento della celebrazione dal sabato alla domenica (= dies dominica = giorno commemorativo della risurrezione del Signore, della creazione e della venuta escatologica) e con un'incipiente celebrazione annuale della Pasqua di Cristo (primo nucleo dell'anno liturgico cristiano);
5) pratica del digiuno in connessione con il culto (nelle prescrizioni della chiesa antica i giorni di digiuno furono il mercoledì e il venerdì);
6) complementare funzione della preghiera comunitaria e di quella personale, secondo la pratica giudaica e l'esempio di Gesù e degli apostoli; gli ebrei avevano particolari preghiere per il mattino e la sera (nell'officiatura cristiana diventeranno le Lodi e i Vesperi) ed erano invitati a santificare la giornata pregando all'ora terza, sesta e nona (si vedano le preghiere dell'officio romano per le cosiddette Ore minori: Terza, Sesta, Nona) oppure durante la notte (si vedano i Notturni);
7) uguaglianza tra i primitivi ambienti di culto: a Dura Europos due aule identiche sono sinagoga e domus ecclesiae; la differenza risulta solo dalla decorazione pittorica e dai simboli che vi sono usati.
Influssi ellenci
Questo panorama non presume di escludere influssi da altra fonte sull'incipiente liturgia cristiana. Non si possono negare, ad esempio, influssi ellenistici dovuti anche al fatto che la prima lingua liturgica, anche in Occidente, fu il greco. La transizione al latino avvenne dapprima nelle province africane e, naturalmente, riguardò la catechesi e la parte didattica della messa.
Verso la metà del III secolo anche a Roma il latino apparve come lingua ufficiale (lettere dei papi, ecc.), ma nella liturgia si ebbe un lungo periodo di bilinguismo che, ad esempio nella prece eucaristica, si prolungò fin oltre il IV secolo. Questo particolare è all'origine delle forme lessicali greche rimaste nel latino liturgico (si veda il Kyrie eleison).
Altri elementi denunciano la propria derivazione dai culti misterici: si pensi alla celebrazione delle veglie notturne, al completamento del battesimo come rito d'iniziazione (esorcismi ed unzioni), alla disciplina dell'arcano, ecc. Ma tali prestiti non sono comparabili per vastità e profondità con la filiazione della liturgia cristiana da quella giudaica.
Cautele
[...] un confronto sotto l'aspetto melodico tra il patrimonio dei canti cristiani e quello degli ebrei va giudicato con estrema cautela non solo perché la tradizione ebraica fu posta per iscritto molto più tardi di quella cristiana, ma anche per il rischio che in qualche caso sembrerebbe accertato che sia stata la tradizione ebraica, ad essere influenzata da quella cristiana nel volgere dei secoli; inoltre la dispersione degli ebrei ha provocato una profonda diversificazione nelle melodie dei loro canti rituali. [...]
Se ordiniamo cronologicamente alcune delle testimonianze indirette sull'antico canto cristiano, ne risulta una catena di voci, oltre la quale è facile cogliere una realtà ricca e multiforme.
[50] Verso l'anno 50 san Paolo imprigionato a Filippi insieme con Sila cantava durante la notte (preghiera notturna ebraica?) e gli altri prigionieri li ascoltavano (Atti 16, 25).
Nei suoi scritti lo stesso Apostolo accenna a «salmi, inni e cantici spirituali» (Efes. 5, 19; Coloss. 3, 16). In tali parole non si cerchi la ripartizione del repertorio in tre generi, come si presumeva in passato; tanto più che l'invito è accompagnato in entrambi i casi dall'espressione in cordibus vestris, che vale forse come esortazione all'adorazione interiore. Se poi un riferimento si vuole ad ogni costo trovare, esso non può rivolgersi che alle forme meliche dell'Antico Testamento, con sicura esclusione degli inni intesi come composizioni strofiche e metriche.
[fine I sec.] Verso la fine del I secolo, dall'Apocalisse, dalla lettera del papa Clemente I ai Corinzi e dalla Didaché o Dottrina dei Dodici Apostoli (prezioso libretto, che tra l'altro conserva la prima descrizione di un'assemblea eucaristica al di fuori degli scritti neotestamentari) abbiamo la certezza che si cantava il Sanctus (trisagion); del resto, esso aveva già il suo posto nei riti giudaici. La stessa Didaché ci informa di preghiere litaniche, perciò con acclamazioni dell'assemblea, dopo ogni intenzione enunciata dal celebrante.
Tra le forme «innodiche «primitive va ricordato il Gloria in excelsis (Laus angelorum del rito ambrosiano), una dossologia destinata alla preghiera del mattino la cui redazione più antica (in greco) è attribuita al II-III secolo.
[112] Nell'anno 112 Plinio il Giovane, governatore della Bitinia in Asia Minore, inviò all'imperatore Traiano un rapporto sui cristiani, chiedendo istruzioni sull'atteggiamento da assumere nei loro confronti. Nella lettera si legge che i cristiani erano soliti «stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem» (Lettere X, 96). A parte gli ambiziosi tentativi compiuti in passato per individuare di quale carmen si trattasse, a noi basta prendere atto che i cristiani cantavano tra loro (secum invicem = a cori alterni?) dei versi in onore di Cristo.
[150] Quanto il filosofo Giustino, convertito dal paganesimo, scrisse intorno al 150 nella sua Apologia è prezioso per la storia della liturgia eucaristica ma, in rapporto con il nostro tema, egli spiega soltanto che l'assemblea interveniva con Amen.
[210] Più interessante è il passo della Tradizione Apostolica, redatta intorno al 210 da Ippolito prete romano, ove ricorrono tutti gli elementi che anche oggi formano il Prefazio (dialogo tra celebrante e assemblea: «Il Signore sia con voi», «In alto i cuori», «Rendiamo grazie al Signore», «E degno e giusto», ecc. ), a cui si aggiungono la conclusione comune Amen e il ricordo già accennato di salmi cantati dal diacono con il ritornello Alleluia.
Dallo stesso Ippolito e da Clemente Alessandrino ( ante 215) siamo informati sul ruolo del «lettore» e sull'esistenza di schemi formulari (cantillazione) per il canto delle letture. Per lungo tempo poi si menziona la schola lectorum (un ministero sacro quello del lector, che si riceveva con un proprio rituale di ordinazione), il preludio della futura schola cantorum (alle origini lector e cantor o salmista erano quasi sinonimi).
Inno cristiano alla Trinità – Fra i numerosi papiri rinvenuti a Ossirinco un secolo fa, il «1786» – databile al III sec. – riporta un testo cristiano in greco di lode alla Trinità. Presenta anche la notazione vocale greca con indicazioni ritmiche. E' stato trascritto per la prima volta negli Oxyrhynchus Papyri, XV (1922). Succesivamente studiato da Wellesz (1945) e successivamente rieditato, con qualche correzione nella silloge di Pöhlmann (1970).
Dopo l'Editto di Milano del 313, che diede ai Cristiani libertà di culto, vi fu un grandioso processo di consolidamento e di sviluppo delle strutture giuridiche e organizzative della Chiesa, che ebbe i suoi riflessi anche nel campo liturgico. Furono introdotte molte nuove festività, si ampliò la Messa di nuovi canti e si stabilì la struttura dell'Ufficio, ossia dell'insieme delle preghiere comunitarie per le varie ore del giorno (il Mattutino, le Lodi, i Vespri ecc.).
All'arricchimento dei riti si accompagnò l'esigenza di precisarli e di fissarli in un testo scritto; a tale scopo furono redatti i primi libri liturgici, che a quell'epoca naturalmente non contenevano ancora le melodie dei canti, ma solo le parole.
Risale a questo periodo anche la graduale formazione di gruppi ristretti di cantori, appartenenti al clero, ai quali veniva affidata l'esecuzione della maggior parte del repertorio; perciò il canto liturgico si fece sempre più complesso ed elaborato, e da canto di tutta l'assemblea, quale era stato alle origini, divenne prerogativa di una ristretta cerchia di professionisti.
Il riconoscimento dell'autonomia dei patriarchi, o metropoliti, di Alessandria, di Antiochia e di Bisanzio (sancito nel Concilio di Nicea del 323) favorì lo sviluppo di varie tradizioni liturgiche regionali facenti capo a ciascuno di essi, e in queste diverse tradizioni si ramificò la storia del canto cristiano.
Si ebbero così il rito copto in Egitto (dal, quale derivò quello etiopico), il siriaco, l'armeno, il bizantino e successivamente lo slavo. Ognuna di queste tradizioni aveva un proprio repertorio di canti, nella sua propria lingua; in origine furono molto diffusi i canti bilingui, di cui si scorge una tenue traccia anche nella liturgia latina, quando essa usa parole greche, come nel Kyrie eleison e, soprattutto, nell'inno trisagio («tre volte santo»: è una serie di acclamazioni in latino e in greco, che si cantano il Venerdì Santo).
Anche la Chiesa dell'Occidente latino, più direttamente soggetta al pontefice di Roma, conobbe una diversificazione di riti, che si acuì con la caduta dell'Impero romano e col conseguente sorgere di nuove e numerose entità politiche. Si formarono quindi il rito romano, l'ambrosiano (facente capo alla diocesi di Milano), l'aquileiese o patriarchino (proprio del patriarcato di Aquileia), il beneventano (in una parte dell'Italia meridionale, dove fiorì per diversi secoli un ducato longobardo), il celtico (in Bretagna e nelle isole britanniche, soppresso prima del secolo VII per l'arrivo dei missionari romani), il gallicano (nella Gallia dominata dai Franchi) e il mozarabico (nella Spagna dominata dai Visigoti e poi dagli Arabi).
Neopitagorici
Non occorre insistere sul fatto che figure, quali Nicomaco, Gaudenzio, Tolomeo, Mesomede ... svolsero la loro attività durante i primi tempi dell'era cristiana; e cioè, che i periodi della tarda antichità e del primo cristianesimo si sovrappongono e s'intrecciano.
Da fedele neo-pitagorico Nicomaco vedeva un intimo nesso di relazione tra musica e numeri. Il suo insistere sul numero 5 nei suoi calcoli circa la musica delle sfere, e il suo modo di spiegare il significato anche di altri numeri, appartengono al regno della speculazione e del simbolismo.
Neoplatonici
Fra i neoplatonici che si occuparono di musica vi furono Plotino, il suo allievo Porfirio, [di cui si ricorda] il commento alla Armonia di Tolomeo ... , e Proclo: tutti e tre in rapporto con Alessandria; e il siriaco Jamblico che studiò con Porfirio a Roma.
Plotino (205-270), come Platone e Aristotele, attribuiva considerevole importanza all'influenza morale della musica, ma differiva da loro nel considerare la sua efficacia più dal punto di vista religioso e meno da quello politico. Il Bello, secondo lui, purifica lo spirito e lo conduce per gradi ad una contemplazione del Bene. Nella sua filosofia la musica ha un potere magico capace, secondo la sua natura, di condurre verso il bene o verso il male. Per alcuni aspetti essa somiglia alla preghiera:
Pur essendo un difensore del paganesimo e un violento oppositore del Cristianesimo, Porfirio (233-304) venne ad esercitare una certa influenza sui Padri della Chiesa. Ardente difensore dell'ascetismo, egli disapprovava i piaceri sensuali suscitati dalla musica e poneva gli spettacoli drammatici e le danze, con la loro musica, nella stessa categoria delle corse di cavalli.
Proclo (412-85), benché indulgente al simbolismo neopitagorico, ebbe sulla musica vedute in gran parte simili a quelle di Plotino. Accentuando gli attributi magici di quest'arte, egli affermava che la musica poteva porre l'uomo in contatto con la Divinità e, come Porfirio, disapprovava la musica di scena.
Jamblico ( 330 ca.) ebbe opinioni alquanto simili, ritenendo che ciascuno dei demoni cioè gli spiriti che servono da intermediari tra la Divinità suprema e l'uomo avesse il suo proprio canto speciale e potesse essere raggiunto attraverso la esecuzione di questo.
Gli Gnostici e le 7 vocali greche
Piuttosto sospette sono le recenti deduzioni nate dall'apparire, in papiri che provengono dagli Gnostici, di molte combinazioni delle sette vocali greche, usate per rafforzare l'influenza degli incantesimi. I sacerdoti egiziani avevano cantato sulle sette vocali nel servire gli dei; ed era comunissimo l'uso di un amuleto formato da combinazioni di vocali greche. Gli Gnostici, eretici che cercarono di combinare idee cristiane, egiziane e siriache, e che, così facendo, interpretarono la storia cristiana alla luce della cosmologia e dell'astrologia degli antichi, rassomigliavano a Proclo; per esempio, essi avevano legami col mondo della magia e della speculazione.
Parecchi studiosi prendendo uno spunto da Nicomaco, il quale riteneva che i pianeti creassero differenti suoni in rapporto alla loro distanza dal centro della sfera hanno tentato di decifrare queste vocali dal punto di vista della notazione musicale. Essi hanno messo le sette vocali in relazione con i suoni supposti dei sette pianeti. Nell'opinione di uno scrittore moderno [Klaus Wachsmann] questa teoria non è, per lo meno, convalidata dalle fonti. Un altro scrittore [Théodore Gérold], che sembra accettare le trascrizioni, crede che la pretesa influenza delle combinazioni di vocali sul canto cristiano sia stata esagerata.
È vero che a quanto pare gli Gnostici, i neo-pitagorici e i neoplatonici influenzarono il Cristianesimo nel campo della musica e in altri campi, ma rimane tuttora un problema non risolto se la prova di questo fatto sia proprio offerta dalle combinazioni di vocali.
Filone e il canto antifonico
In aggiunta ai neo-pitagorici e ai neo-platonici, vi era, tra le sette non cristiane, la scuola del giudaismo ellenistico rappresentato da Filone d'Alessandria (I sec.). La filosofia di Filone era un miscuglio della Bibbia e di Platone. È stato discusso in che grado le sue idee sull'importanza della musica nel culto abbiano influenzato i Padri della Chiesa. I suoi scritti sono ricchi di riferimenti alla musica. Egli tuttavia considerava la musica come tutte le arti e le scienze non fine a se stessa, ma preparazione alla filosofia.
Di speciale interesse è una notizia, che appare in un'opera di autenticità già messa in dubbio, ma ora accettata (Sulla vita contemplativa) circa i Terapeuti, setta prettamente ascetica. Questo è importante, se è esatta la notizia, poiché la descrizione mostra che la pratica musicale di questa setta includeva il canto antifonico, destinato ad acquistare notevole importanza tra i Cristiani.
Va notato che il termine «antifonia», se applicato al canto cristiano e alla musica più recente, ha un significato differente da quello che gli si attribuiva quand'era applicato all'antica musica greca. L' «antifonia» greca consisteva ... nel canto all'ottava, 1' «antifonia» più recente nel rispondersi, cioè nel canto alternato o 1) tra due o più gruppi corali, o 2) tra il solista e il coro. Il tipo 2 nella Chiesa romana è distinto dal tipo 1 in quanto è detto «canto responsoriale». Secondo Filone i Terapeuti usavano l'antifonia sia nel senso greco che in quello più recente:
Un breve passo di una lettera piuttosto estesa, inviata nell'anno 115 all'imperatore Traiano da Plinio il Giovane, mentre era governatore della Bitinia, potrebbe essere interpretato come riferentesi alla pratica del canto antifonico tra gli stessi cristiani.
Periodizzazione preliminare
La storia del canto cristiano primitivo è stata divisa in tre periodi. Il primo approssimativamente, comprendeva i primi due secoli. In questa fase furono compiuti ben piccoli progressi per ciò che si riferisce all'organizzazione e le pratiche erano diverse nelle differenti comunità. Gli Gnostici avevano usato la musica come mezzo per attirare i proseliti; altrettanto fecero, del tutto legittimamente, i Cristiani ortodossi; e così pure i Marcioniti, la cui eresia consisteva nel comporre salmi loro propri, anziché usare quelli della Bibbia. Lo stesso avveniva presso i Manichei.
Il secondo periodo – dalla fine del II secolo al principio del IV – fu un periodo di espansione. La conversione di un numero sempre crescente di antichi pagani mise i Cristiani più autorevoli di fronte alla necessità di combattere l'adozione, entro le importanti nuove comunità che si andavano formando sia in Oriente che in Occidente, di certe manifestazioni musicali derivanti dal mondo pagano che potevano suscitare associazioni non desiderabili.
Ciò non significa che, entro limiti di cui or ora diremo, la musica greca fosse senza effetto sui Cristiani che vivevano nella sfera della sua influenza. Data probabilmente da questo periodo l'inno di Ossirinco ... e ciò dimostra che, almeno in alcune comunità, il canto cristiano includeva melodie artistiche. In questo periodo i Cristiani cominciarono a contare tra i loro scrittori un più largo numero di eruditi.
Il terzo periodo cominciò con l'anno 313, quando Costantino il Grande, con 1'editto di Milano, assicurò al Cristianesimo la tolleranza in tutto l'Impero preparando così la via al definitivo riconoscimento di esso come religione di stato. S'incominciò ad elevare chiese spaziose e fu necessaria una nuova musica per far fronte alle nuove condizioni. L'esecuzione vocale fu in un primo tempo applicata in tre principali occasioni: 1) nella lettura solenne di parti dei Vangeli, ecc., in cui fu usato il canto liturgico secondo formule stabilite; 2) nel canto dei salmi e degli inni che andava dal semplice canto liturgico al canto libero; 3) nel canto estatico della singola parola Alleluia in ricchi, sostenuti melismi.
Testimonianze sulla musica
I Padri della Chiesa, gli scritti dei quali appartengono a tutti e tre i periodi, non sfuggirono all'influenza dei loro contemporanei non Cristiani nell'atteggiamento verso la musica ...
Clemente d'Alessandria (nato ad Atene ca. 150-220) fu, come dimostrano le sue opere, uomo colto, amante della musica e della poesia; e probabilmente senza pregiudizi aprioristici contro gli strumenti. Eppure, mentre tollerava la lyra e la cithara sacre a re David, egli disapprovava la maggior parte degli altri strumenti, senza dubbio temendo che potessero portare all'orecchio degli ascoltatori cristiani echi di festività pagane e di spettacoli osceni:
Il più antico testo innodico conosciuto (l'Inno del Salvatore) è attributo a Clemente; ma potrebb'essere di mano più antica.
Tertulliano (ca. 155-222), vissuto a Cartagine, suo luogo di nascita, ci testimonia l'uso della salmodia responsoriale nella pratica latina. Descrivendo una coppia di sposi perfetti egli ci dà un'idea dell'importanza della musica nell'intimità della vita domestica cristiana: «Tra i due echeggiano salmi e inni; ed essi gareggiano l'uno con l'altro, per cantar meglio le lodi del Signore».
Origene (ca. 185-254), che svolse principalmente la sua attività ad Alessandria, afferma la diffusione del canto nel culto: «... i Greci usano il greco ... i Romani il latino... e ciascuno prega e canta lodi a Dio quanto meglio può nella lingua materna». Origene considera gli strumenti come simboli. La tromba rappresenta per lui l'efficacia del Verbo divino; il timpano (una specie di tamburo) la distruzione della concupiscenza; i cimbali l'anima ardente innamorata di Cristo.
Eusebio (ca. 260-340), vescovo di Cesarea, in Palestina, autore della Storia ecclesiastica, la più importante storia della Chiesa dei tempi antichi, nella quale è citata la notizia di Filone concernente i Terapeuti, disapprova l'uso di strumenti, compresa la cithara:
Eusebio dà testimonianza che i salmi non erano semplicemente recitati: «cantiamo i salmi in suoni melodiosi», e riferisce che il canto dei salmi, nonché quello degli inni, era assai diffuso.
Sant'Atanasio (ca. 298-373), patriarca di Alessandria, si adoprò per impedire che il canto dei salmi divenisse troppo elaborato. Anche per lui gli strumenti hanno significato simbolico.
S. Basilio (ca. 330-379), successore di Eusebio a vescovo di Cesarea, scrisse la liturgia di S. Basilio ancora oggi in uso nella Chiesa orientale. In una sua lettera difende il canto dei salmi sia in modo antifonale che responsoriale, e afferma che essi sono cantati così da «gli Egiziani ... i Libici, i Tebani, i Palestinesi, gli Arabi, i Fenici, i Siriaci, gli abitatori delle rive dell'Eufrate». Egli scrive che i salmi sono dotati di melodie atte ad attrarre i fanciulli e i giovani «affinché le loro anime e le loro menti possano essere illuminate, mentre credono di ricevere solo il piacere della musica». Abbiamo qui un'aperta confessione del valore della musica quale aiuto per propagare la fede.
S. Girolamo (c. 340-420), autore della fondamentale traduzione latina della Bibbia – la Vulgata – fu consigliere di papa Damaso, durante il cui pontificato (366-84) la liturgia romana raggiunse un alto grado di organizzazione. L'avversione di questo santo, uomo di alta cultura, verso gli strumenti, è da attribuirsi alla stessa causa che ispirava Clemente. Consigliando Leta sul modo di educar la figlia, egli scrisse: «Fa che essa sia sorda al suono dell'organo, e che non conosca neppure l'uso del piffero, della lyra e della cithara». Una opposizione di questo genere può aver indotto ad escludere gli strumenti da una fedele riproduzione del canto romano.
Su richiesta di S. Girolamo papa Damaso aggiunse l'Alleluia alla Messa romana. Descrivendo lo jubilus, la lunga, spesso intricata fioritura alla fine dell'Alleluia (ma è possibile che jubilus indicasse anche la fioritura d'altre parti del canto liturgico), egli scrisse: «Col termine jubilus noi intendiamo ciò che né in parole, né in sillabe, né in lettere, né in discorsi è possibile esprimere o comprendere, cioè quanto l'uomo debba lodare Dio». Il canto dell'Alleluia fu certo derivato dalla liturgia della Sinagoga.
Sant'Ambrogio (c. 340-397), vescovo di Milano e uno dei primi Padri della Chiesa, pensava che le donne, pur dovendo tacere in chiesa, come scongiurava S. Paolo, avrebbero «ben fatto a cantare anch'esse i loro salmi». Sant'Ambrogio non soltanto menziona la musica nei suoi scritti, ma influì personalmente sul modo in cui essa venne usata nella Chiesa occidentale ...
Sant'Agostino (354-430), battezzato nel 387 da Sant'Ambrogio, eletto, nel 396, vescovo di Ippona vicino al porto di Aphrodisium, oggi Bona, in Algeria, autore delle Confessioni e dell'importante De Civitate Dei, ci ha lasciato un trattato De Musica; ma questo è dedicato sopratutto alla metrica, alla versificazione, ai numeri eterni e spirituali, ecc. piuttosto che alla musica come noi la intendiamo. L'ultima parte, tuttavia, è notevole come primo tentativo di psicologia musicale. Il trattato contiene una definizione della musica spesso citata da scrittori medievali: Musica est scientia bene modulandi, essendo implicito nel contesto che modulatio si riferisce alla struttura ritmica e melodica di una composizione.
Il commento di Sant'Agostino circa la maniera semplice di cantare i salmi, appoggiata da Atanasio, è interessante perché se ne deduce che i salmi eran cantati per intero, non senza una certa elaborazione. Egli ci dà qualche informazione precisa riguardo al canto responsoriale di certi salmi, citando esattamente i versi cantati dai fedeli come ritornello in risposta al canto del « praecentor».
Sant'Agostino è fra coloro che prestano significato simbolico agli strumenti: «Non dobbiamo tralasciare il significato mistico del tamburello e del salterio. Nel tamburo è distesa la pelle, nel salterio la corda di budello; in entrambi la carne è crocifissa».
Sant'Agostino introdusse nella Chiesa africana la pratica di unire al canto dei salmi l'offerta di doni, istituendo così l'Offertorio. Come S. Girolamo, egli descrive il jubilus dicendo: «È un suono di gioia senza parole ... è l'espressione di uno spirito esultante di gioia ... Un uomo che gioisce della sua stessa esultanza, dopo certe parole che non possono essere ... comprese, esplode in suoni di esultanza senza parole, così che sembra che egli.... traboccando di eccessiva gioia, non possa esprimerla con parole».
Nelle sue Confessioni Sant'Agostino descrisse il potente effetto che la musica aveva su di lui. Egli temeva che il fascino musicale, che lo rapiva con piacere estetico, lo commovesse più di quanto facessero le parole sacre. Altre volte, tuttavia, la musica lo guidava verso il vero: «Quanto piansi nei Tuoi inni e nei Tuoi cantici, profondamente commosso dalle voci della Tua Chiesa dal dolce linguaggio! Le voci fluivano all'udito e la verità penetrava nel cuore. Allora traboccava l'agitazione della mia religiosità, e scorrevano le lagrime; e mi sentivo benedetto nel mio intimo!».
Il curioso diario del pellegrinaggio in Terra Santa compiuto da Santa Silvia o Etheria di Aquitania, verso l'anno 385, descrive i canti nella Chiesa del Santo Sepolcro: la «Anastasis» fatta erigere da Costantino a Gerusalemme. Essa menziona salmi, inni, antifone, responsori; e cita le occasioni in cui erano usati. Nota anche la presenza di piccoli coristi.
S. Giovanni Crisostomo (bocca d'oro) (345-407), il più famoso dei Padri greci, vescovo di Costantinopoli, dà testimonianza della popolarità del canto dei salmi nell'Oriente:
Se i fedeli osservano vigilia in chiesa, David [= il canto dei salmi] è principio, mezzo, e fine. Se al mattino qualcuno desidera cantare inni, David è ancora principio, mezzo, e fine. Nelle processioni e nei trasporti funebri, David è principio, mezzo e fine. Nei santi monasteri, nelle schiere di celesti guerrieri, David è principio, mezzo e fine. E nei conventi di vergini, imitatrici di Maria, David è principio, mezzo e fine.
Egli spiega come mai i salmi sono cantati piuttosto che recitati:
In un commentario talvolta attribuito al Crisostomo, vi è un passo sulla musica nella vita quotidiana. Ivi son descritte le nutrici che, col passeggiare su e giù cantando, inducono al sonno i piccini che hanno in braccio; i carrettieri che guidando i cavalli aggiogati all'ora del meriggio, e che, cantando, alleviano loro la fatica del cammino; i coloni che cantano coltivando la vigna e vendemmiando e pigiando le uve; i marinai che cantano mentre dan forza ai remi; le donne che cantano nel tessere e separare i fili intricati [Patr. Gr. LV, 156].
Crisostomo dimostra vivo interesse alla vita musicale; ma non ogni musica riscuote la sua approvazione. Egli deplora la tendenza dei giovani a indulgere verso «canti e danze di Satana, come quelli di cuochi, osti e musicanti di professione; nessuno di loro conosce salmi; anzi ciò sembra loro qualcosa di cui aver vergogna, una burla, uno scherzo». Il Crisostomo sentiva pure il bisogno di inveire contro i canti pagani temendo corrompessero il gregge.
Teodoreto (ca. 386-457), vescovo di Ciro, cittadina tra Antiochia e l'Eufrate, fa menzione di una curiosa forma di canto antifonico dei salmi, in uso in un monastero che ospitava greci e siriaci; ciascun gruppo cantava nella propria lingua, ed ogni verso veniva ripetuto antifonalmente. Teodoreto ha lasciato una descrizione del modo in cui gli inni venivano accompagnati col battere delle mani e con movimenti di danza. Nell'Oriente, il canto religioso era spesso accompagnato in tal modo e anche con strumenti.
Gli apocrifi Atti di S. Giovanni (prima del 170 d.C.), attribuiscono a Gesù e agli Apostoli l'avere accompagnato un inno con danza in tondo, il giorno precedente la Passione. Il testo dell'inno, incluso nella narrazione apocrifa, era in uso non soltanto fra gli Gnostici, da cui gli Atti presero origine, ma anche tra i Manichei; e, persino al IV secolo, tra i Priscillianisti. Il testo mostra che la musica era responsoriale. Ecco, infatti, alcuni dei versi, col passo introduttivo:
La buona accoglienza fatta alla musica dai Cristiani ai fini del culto, per quanto diffusa, non fu certo universale. Così, per esempio, l'abate egiziano Pambone (ca. 317-367) deplorò l'uso di quest'arte; ma pur condannandola egli testimoniava sulla sua diffusione:
I vari passi citati e riferiti rappresentano una vita musicale diffusa in varie regioni. Essi citano spesso il canto dei salmi, degli inni e dei cantici, termini spesso usati scambievolmente. È stato affermato, non senza ragione – pur mancandoci documenti del canto popolare per confrontarli – che il canto cristiano assorbì elementi del canto popolare. Se è così, le sparse comunità cristiane devono aver recato il loro contributo con alcune caratteristiche locali, diverse da quelle prettamente greche o ebraiche, per quanto fosse estesa soprattutto la cultura ellenistica. Alcune di queste caratteristiche sarebbero venute dall'Occidente, altre dall'Oriente. Ci si deve guardare dall'esagerare l'influenza greco-ebraica, eppure essa agì nei campi della liturgia, della filosofia, e della composizione letteraria; quindi la storia di tali discipline potrebbe indicare per analogia – come fanno direttamente alcuni dei passi citati – che le influenze greca ed ebraica non mancarono di farsi sentire anche nel campo della musica. Rispetto al canto romano, almeno, vi è qualche sicura prova melodica che tende ad appoggiare questa ipotesi, questa deduzione. Che altri rami del canto cristiano possano ugualmente fornire solida documentazione, forse riveleranno ricerche future.