Annotazioni

 

Particolare dal Banchetto di Rosmunda (1640) di Luciano Borzone

Rosmunda

[documenti]

A cura di Davide Daolmi e Riccardo Orsolini (2024)

 

 

Riccardo Orsolini, La prima regina d'Italia: il teschio di Rosmunda (2024)

 

 

1. Fonti | 2. La coppa-teschio | 3. Narrativa | 4. Immagini | 5. Opere | 6. Donna lombarda | 7. Altro | 8. Bibliografia

 

 

Rosmunda, prima regina d'Italia, è la seconda moglie di Alboino, il re che portò in Italia i Longobardi (568). La discesa di Alboino è successiva ai suoi successi militari in Pannonia, dove sconfisse i Gepidi, uccidendo re Cunimondo e sposando la figlia Rosmunda.

Nel 569 Alboino si fece proclamare a Milano re d'Italia stabilendosi a Pavia. Alboino fu ucciso tre anni dopo da una congiura orchstrata da rivali interni (il cortigiano Elmichi e Rosmunda) ed esterni (l'esercito bizantino capeggiato da Longino).

Il mito vuole che Alboino durante il banchetto di nozze facesse bere Rosmunda da una coppa ricavata dal teschio di suo padre Cunimondo. Per questa ragione Rosmunda lo farà uccidere dal gepido Periteo (in altre fonti Elmichi). In seguito cercando protezione fra i bizantini avvelenerà Elmichi che era diventato suo secondo marito. Scoperta, fu obbligata anch'essa a bere il veleno e morirono entrambi.

La prima fonte del teschio è l'Historia Longobardorum (744) di Paolo Diacono, storico e poeta di lingua latina che scrive un secolo dopo. Paolo, che è favorevole ai sovrani longobardi, considera l'episodio del teschio una leggerezza di Alboino. Benché non vi siano fonti precedenti certo non è lui che lo inventa, perché contrasta il suo desiderio (da longobardo) di descrivere la gepida Rosmunda come sgualdrina.

Sintesi

1. Fonti

581 | Mario di Avenches, Chronica

Pubblicata su MghAA/9: 225-239 (ed. mod. con trad. fr. in Favrod 1993) | Mario fu vescovo franco (diocesi di Ginevra)

Nella registrazione dell'anno 572 troviamo il più antico racconto sulla morte di re Alboino, forse già composto negli anni Settanta del VI secolo. Nel Chronicon il re fu ucciso dai suoi uomini, tra i quali un certo Elmechi [= Elmichi] aveva avuto un ruolo di primo piano («a suis, id est Hilmaegis cum reliquis»; il nome è reso anche in «Hilmegis»), e con il supporto della regina («consentienti uxore sua»). Elmechi e la moglie del re si unirono in matrimonio per poi rifugiarsi a Ravenna assieme ad alcuni uomini restati loro fedeli («cum exercitus parte») e il tesoro che i Longobardi avevano accumulato in Pannonia. La menzione del tesoro, presente in quasi tutti i racconti dell'episodio, rifletteva l'importanza che questo ricopriva per la stirpe. La sua scomparsa preannunciava le sventure dei Longobardi. Elmechi, un personaggio che avrà un ruolo da protagonista nella narrazione della morte di Alboino fino agli anni di Paolo Diacono e oltre, è qui menzionato la prima volta. [Borri 2016: 63]

In questa prima fonte (scritta solo 10 anni dopo) la regina non ha nome. Elmichi, suo amante, uccide Alboino. Entrambi rubano l'oro. Rosmunda, che non avrebbe motivo di risentimento, sembra voler uccidere Alboino solo perché innamorata di Elmichi.

584 | Gregorio di Tours, Libri decem historiarum

Pubblicata su MghSSMer/1 (trad. it. in Oldoni 1981). Una sintesi dei riferimenti ad Alboino è in Borri 2016: 69-72.

iv.41] Alboenus vero Langobardorum rex, qui Chlothosindam, regis Chlothari filiam, habebat, relecta regione sua, Italiam cum omni illa Langobardorum gente petiit. Nam, commoto exercitu, cum uxoribus et liberis abierunt, illuc commanere deliberantes. Quam regionem ingressi, maxime per annos septem pervagantes, spoliatis eclesiis, sacerdotibus interfectis, in suam redigunt potestatem. Mortua autem Chlothcsinda, uxorer Alboeni, aliam duxit coniugem, cuius patrem ante paucum tempus interfecerat. Qua de causa mulier in odio semper virum habens, locum opperiebat, in quo possit iniuriasa patris ulcisci; unde factum est, ut unum ex famulis concupiscens, virum veninu medificaret. Quo defuncto, cum famulo iit, sed adpraehensi pariter interfecti sunt. Langobardi deinceps alium super se regem statuunt.
Alboino, re dei Longobardi, che aveva allontantato dal suo paese Clotosinda [Clodosvinta], figliuola del re Clotario, invase l'Italia con tutto il suo popolo di Longobardi. Infatti, avendo mosso l'esercito, partirono con mogli e figli, e decisero di rimanervi. In quel paese entrarono e scorazzarono per sette anni, saccheggiando le chiese e uccidendo i sacerdoti, e prendendone il potere. Morta Clotosinda, moglie di Alboino, egli sposò un'altra donna, il cui padre aveva ucciso poco prima. Per questo motivo ella, avendo sempre in odio il marito, cercò l'occasione in cui potesse vendicare i torti del padre; onde avvenne che uno dei servi, con cui aveva una relazione, lo uccise col veleno. Quando morì, ella fuggi col servo, ma furono entrambi catturati e uccisi. Successivamente i Longobardi elessero per loro un altro re.

Rosmunda non ha ancora nome, ma s'introduce il risentimento verso Alboino che le ha ucciso il padre. Alboino muore avvelenato da un servo amante di Rosmunda da lei istigato. Si tace dell'oro, entrambi muoiono. Il veleno è per Alboino, non per i due amanti. Si tenta di giustificare la ferocia di Rosmunda.

590 | Giovanni di Biclaro, Chronica

Pubblicata da Julio Campos (1960), anche in digitale | Giovanni fu vescovo visigoto della Lusitania (Portogallo)

Aluinus Longobardorum rex factione coniugis suae a suis nocte interficitur; thesauri vero eius cum ipsa regina in rei publicae Romanae dicionem obveniunt et Longobardi sine rege et thesauro remansere. [Alcuino, re dei Longobardi, fu ucciso nella notte dai suoi stessi uomini per cospirazione della moglie; ma i suoi tesori, insieme alla regina stessa, passarono sotto il controllo dello stato romano, e i Longobardi rimasero senza re e senza tesoro.]
Nell'annotazione dell'anno 573 [VII di Giustino] incontriamo per la prima volta re Alboino. Giovanni non commentò in alcun modo gli eventi del suo regno e del sovrano si narrò unicamente la morte. Stando a Giovanni, il re fu ucciso nella notte, un particolare che non compare nelle altre narrazioni, da alcuni dei suoi uomini legati alla moglie, e per istigazione di quest'ultima, sembrerebbe recitare il latino del testo. Perpetrato il delitto, gli assass ini di Alboino fuggirono assieme
alla regina e al tesoro dei Longobardi in territorio imperiale qui chiamato «res publica Romana». [Borri 2016: 66]

Rosmunda, sempre senza nome, è la cospiratrice. Furto dell'oro.

688 | Origo gentis Langobardorum, § 5

[MghLL/4: 644 | testo] In quei tempi Alboino combatté con il re dei Gepidi Cunimondo. Cunimondo morì in quel combattimento ed i Gepidi furono sconfitti. Alboino prese in moglie Rosmunda, figlia di Cunimondo, catturata come preda di guerra, in quanto gli era morta la prima moglie Flutsuinda, figlia di Flothario Re dei Franchi, da cui aveva avuto una figlia di nome Albsuinda. I Longobardi abitarono in Pannonia per quarantadue anni.

Lo stesso Alboino condusse i Longobardi in Italia, su invito dei segretari di Narsete [a]. Alboino, Re dei Longobardi, partì dalla Pannonia nel mese di aprile, nella prima indizione dopo la Pasqua. Sicuramente nella seconda indizione cominciarono a depredare in Italia e nella terza indizione diventò padrone d’Italia.

Alboino regnò in Italia per tre anni, e fu ucciso nel suo Palazzo di Verona da Elmichi e da sua moglie Rosmunda per il tramite di Periteo.

Elmichi volle regnare ma non poté farlo perché i Longobardi volevano ucciderlo. Allora Rosmunda scrisse al prefetto Longino perché la accogliesse a Ravenna. Quando Longino udì questa richiesta si rallegrò e mandò una nave della flotta a prenderli. Rosmunda, Elmichi e Albsuinda, figlia di Alboino, si imbarcarono portando con sé a Ravenna tutti i tesori dei Longobardi.

In seguito il prefetto Longino cercò di convincere Rosmunda ad uccidere Elmichi per poi divenire sua sposa. Dando ascolto alle sue richieste, Rosmunda preparò un veleno e dopo che Elmichi ebbe fatto il bagno, glielo offrì da bere in una calda bevanda. Ma, non appena questi ebbe bevuto, s’accorse d’aver ingerito una pozione mortale, allora ordinò che pure Rosmunda bevesse, anche se ella non voleva, e così morirono entrambi.

Allora Longino prese i tesori dei Longobardi e Albsuinda, figlia del re Alboino, caricatili su una nave diretta a Costantinopoli, ed ordinò che fossero consegnati all’Imperatore.

a. Generale bizantino, prefetto d'italia, poi sostituito da Longino: è l'Origo gentis a insinuare il sospetto che la calata dei Longobardi sia una rivalsa di Narsete contro Longino.

Rosmunda è solo complice della morte di Alboiono, e in seguito manipolata da Longino. Primo riferimento a Periteo. Qui non sembra che Rosmunda sia innamorata di Elmichi. Ora il veleno è destinato agli amanti. Rosmunda debole, travolta dalle circostanze.

744 | Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, § 28-29

§ 28] Alboino regnò in Italia per tre anni e sei mesi, poi fu ucciso in una congiura ordita dalla moglie. La vicenda inizia a Verona, ove il Re era in allegro convivio ed avendo indugiato nel bere, ordinò che alla regina fosse portato da bere del vino nella coppa che lui aveva ricavato dal cranio del suocero, il re dei Gepidi Cunimondo, padre della regina Rosmunda. Alboino invitò la moglie a brindare lietamente con questa coppa. Se a qualcuno questo non sembra vero, affermo sul nome di Cristo che è la pura verità, io stesso ho visto la coppa nelle mani di re Ratchis che la mostrava ai suoi ospiti in un suo convivio. Quando Rosmunda s'accorse di avere in mano la coppa del padre fu presa da così profondo dolore da non riuscire a placarlo; anzi, si infiammò del desiderio di vendetta, meditò d'uccidere il marito per vendicare la morte del padre. Così avvenne che la Regina iniziò a tramare con Elmichi, “scilpor”, ovvero scudiero, del Re, ma anche suo fratello di latte. Questi convinse la regina a far entrare nel complotto anche Peredeo che era uomo assai forte. Peredeo, nonostante la regina cercasse di persuaderlo ad uccidere Alboino, non voleva compiere un gesto tanto empio, cosi Rosmunda trovò un modo per obbligarlo. Sapendo che questi aveva una relazione con una sua ancella, si mise nel letto di questa e quando Peredeo si intromise nel letto per giacere con la sua amante la regina lo lasciò fare. Alla fine della scelleratezza, Rosmunda chiese all'ignaro amante con chi credeva di aver copulato, questi fece il nome dell'ancella sua amante, ma la regina gli svelò: «Non è come credi, sono Rosmunda». Ed aggiunse: «Hai commesso una tale azione che o tu uccidi Alboino o lui, con la sua spada, ti darà la morte». Peredeo allora si rese conto del guaio in cui si trovava e, anche se di propria spontanea volontà non avrebbe mai ucciso il suo Re, costretto, acconsentì a farlo. Quindi la regina mise in atto il suo piano e nel pomeriggio, dopo che il re si fu assopito, diede ordine che nel palazzo non si facesse rumore, sottrasse tutte le armi e legò la spada di Alboino ai piedi del letto in modo che non si potesse né prendere né estrarre dalla fodera, quindi, seguendo il piano ideato da Elmichi, fece entrare Peredeo, il feroce uccisore. Alboino, destatosi all'improvviso ed intuendo il pericolo, stese la mano per prendere la spada, ma non riuscendo ad estrarla essendo legata troppo saldamente, afferrò uno sgabello da piedi e si difese un po' con quello. Fu misera fine per quel valoroso guerriero, dotato d'audacia estrema, ma perì come un uomo inadatto alle armi per l'intrigo di una sola donnetta [...]

§ 29] Elmichi, dopo aver ucciso Alboino, cercò di impadronirsi del suo Regno, ma i Longobardi, infelici per la morte di Alboino, tramarono per ucciderlo. Rosmunda inviò messaggi a Longino, prefetto di Ravenna, perché inviasse una nave a raccogliere lei ed Elmichi. Longino, contento dei nuovi sviluppi presso la corte Longobarda, inviò frettolosamente una nave che raccolse nottetempo Elmichi, Rosmunda, ormai sua moglie, Albsuinda, figlia del Re morto, e tutto il tesoro dei Longobardi, così fuggirono i reicidi. Dopo esser giunti in tutta fretta a Ravenna, Longino iniziò a corteggiare Rosmunda e a convincerla ad uccidere Elmichi, per poi unirsi in matrimonio con lui. Ella, propensa com'era alle iniquità d'ogni genere e lusingata dall'idea di diventare signora di Ravenna, acconsentì a compiere tale delitto. Così avvenne che un giorno, mentre Elmichi si lavava nel bagno, gli portò una tazza di veleno dicendogli che era una medicina, Elmichi, dopo averne bevuto una buona dose, intuendo che poteva trattarsi d'un veleno, snudò la spada su Rosmunda e la costrinse a bere il rimanente. Così finirono i due malvagi assassini, insieme, come per giudizio di Dio Onnipotente.

Paolo introduce la cuasa del risentimento di Romunda: il teschio. Qui Rosmunda, accecata di vendetta diventa spregiudicata (con Peredeo), calcolatrice (lega la spada), instabile (prima ama Elmichi, poi Longino), interessata al potere. Alboino valoroso. Paolo si contraddice (prima Peredeo uccide Alboiono, poi l'omicida è Elmichi).

Traduzioni italiane dell'Historia di Paolo Diacono
Della origine et fatti dei re Longobardi Lodovico Domenichi Venezia: Gabriel Giolito de' Ferrari, 1548 | alter | § 14-15
Milano: Gio. Batt. Bidelli, 1631
[repr. 1548] Monfalcone: Edizioni della Laguna, 1990
Storia dei fatti de' Longobardi Quirico Viviani Udine: Mattiuzzi, 1826 | § 28-29
Dei fatti de' longobardi: libri sei Giansevero Uberti Cividale: Tip. F. Strazzolini, 1899
Milano: Sonzogno, 1915, 1937
Storia dei Langobardi Clara Santini Cuneo: Le Cronache, 1934
  Massimo Felisatti Milano: Rizzoli, 1967
  Federico Roncoroni Milano: Rusconi, 1970
  Roberto Cassanelli Milano: Electa, 1985, 1991 (testo a fronte)
  Elio Bartolini Milano: Tea, 1988, 1999 (testo a fronte)
Milano: Editori associati, 3/1990
  Italo Pin Pordenone: Studio tesi, 1990
  Antonio Zanella Milano: Rizzoli, 1991, 2/1993, 3/1994, 4/1997, 5/1998, 6/2000, 9/2010, 10/2014, 12/2016, 2019 (testo a fronte)
Milano: Skira, 2000, 2017
Milano : Bur, 2007, 2010
  Lidia Capo Roma: Fondaz. Valla, 1992, 3/1995, 4/1998, 5/2000, 6/2003, 7/2006, 8/2008, 9/2013 (testo a fronte)
  Tommaso Albarani Milano: Mondadori, 1994
  Felice Bonalumi Cinisello Balsamo: San Paolo, 2008
  Maria E. Bottecchia Dehò Roma: Soc. per la cons. della Basilica di Aquileia, 2015 (testo a fronte)

832 | Agnello Ravennate, Liber pontificalis ecclesiae Ravennatis, § 96

 Testo latino

 Edizione critica (MghSS: 265) |  Nuova edizione critica

96. Igitur imperante Iustino II. anno 6. nepos Iustiniani, Alboin rex Langobardorum a suis occisus est in palatio suo, iussu uxoris suae Rosmundae, 4. Kal. Iulias. Causa vero interfectionis suae, quam scimus, non praetermittam, sed alacriter in medio proferam, ut caveatis. Nel sesto anno d'impero di Giustino II, nipote di Giustiniano, Alboino, re dei Longobardi, fu ucciso dai suoi nel suo palazzo per ordine di sua moglie Rosmunda, il 28 giugno. Non tralascerò la causa, che conosciamo, della sua uccisione, ma diffusamente ve la esporrò, perché badiate.
Quadam vero die, dum laetu s duceret prandii horam, et cibus regius sibi ablatus fuisset, et crapula vini subsecutus esset, inter cetera pocula iussit deferri caput soceri sui, Rosmundae patris. Quod adductum iussit eum implere bacho usque ad summum, et sic eum totum ebibit; biberunt omnes simul vino laetificati. Tunc praecepit rex pincernae implere caput usque ad summum et Rosmunda uxori sua dari. Quod capud erat ex auro ligatum optimum margaritisque et diversis preciosissimis gemmis infixum. Quo porrecto, ait rex: «Bibe per totum». Illa mox ut accepit, gemuit, sed fronte serena dixit: «Iussa domini mei alacriter expleam.» Postquam bibit, reddidit pincernam, dolorem geminavit in corde, duritie in pectore servans. Un giorno Alboino, mentre lieto trascorreva l'ora del pranzo, quando furono portati via i cibi regali e seguì la crapula del vino, fra tutte le altre coppe ordinò che fosse portato il cranio di suo suocero, il padre di Rosmunda. Quando fu portato, lo fece riempire di vino fino all'orlo e così bevve vuotandolo del tutto; tutti bevvero insieme con lui allietati dal vino. Il re allora ordinò a un coppiere di riempire il cranio fino all'orlo e di porgerlo alla moglie Rosmunda. Quel cranio era legato in oro finissimo e aveva incastonate preziosissime perle e gemme diverse. Avendolo porto, il re disse: "Bevilo tutto". Quella, appena l'ebbe ricevuto, gemette, ma con fronte serena disse: "Che io esegua con zelo gli ordini del mio signore". Quando ebbe bevuto, restituì il cranio al coppiere, ma raddoppiò il dolore nel cuore conservando' fermezza nel petto.
Non vagemus per multa, interfectionem prodamus. Vir autem in illis diebus in ipso erat regis palatio vir fortis, nomine Helmegis, qui vesterariam reginae concubitu fruebat. Quem regina accersitum ortabatur, ut regem extingueret. Cui ille renuens voluntati, dixit: «Absit a me, ut manum mean contra dominum meum regem levem. Tu scis, quia vir fortissimus est, et non queo eum superare.» Et illa: «Quamvis non facias, ne sciat quis». Et ille: «Certe numquam hic sermo de ore meo egredietur. Alium adibe interfectorem, ego non facio. Quando hoc facere voluisti, non debuisti te cum eo sociare, sed postquam rex effectus, fidem serva.» Non divaghiamo oltre, ma parliamo dell'uccisione. In quei giorni viveva nel palazzo stesso del re un uomo forte, di nome Elmichi, che aveva una relazione con la guardarobiera della regina. La regina lo chiamò a sé e lo esortò a uccidere il re. A lei opponendosi quello disse: "Non sia mai che io alzi la mano mia contro il re mio signore. Tu sai che è un uomo fortissimo e che io non sono in grado di vincerlo". E lei: "In ogni caso non lo saprà". E quello: "Certamente questo discorso non uscirà mai dalla mia bocca. Prendi un altro esecutore, io non lo faccio. Dal momento che volevi fare questo, non avresti dovuto unirti a lui, ma una volta che è diventato re, conservagli fedeltà".
Tunc recepit se furibundam in cubiculum suum, cogitare coepit, quomodo maritum posset extinguere. Quae, excogitato consilio, vocavit vesterariam suam et ait ad eam: «Iura mihi, quod non prodas me neque denudes consilium meum, et quaecumque dixero tibi, facito.» Postquam pollicita est, ut audistis, ait regina: «Animus meus cotidie mecum expugnat in amore istius iuvenis, qui tecum cuncubuit. Pone ei decretum in occultum locum, quando tecum dormire debeat, et dicito ei: «Repente furere cuncubitum, quia festinans ego non possum morari.» Et induam ego vestimenta tua posita in abdito, et non cognoscar.» Allora Rosmunda si ritirò furibonda nella sua stanza e cominciò a pensare come potesse eliminare il marito. Escogitato un piano, chiamò la sua guardarobiera e le disse: "Giurami che non mi tradirai, che non deluderai il mio piano e che farai tutto quello che ti dirò". Quando quella ebbe promesso quanto avete udito, disse la regina: "Ogni giorno l'animo mio combatte dentro di me per l'amore di questo giovane, che è venuto a giacere con te. Fissagli appuntamento in un luogo nascosto, quando debba dormire con te, e digli: 'Presto godi di me, perché io ho fretta e non posso aspettare'. Io indosserò i tuoi vestiti deposti in luogo nascosto e non sarò riconosciuta".
Quadam die ille, cum vellet cum vesteraria dormire, sicut solitus erat, illa monita dixit: «Nisi veneris illa et illa hora in tali abdito loco, non possumus amplexibus constringi, quia frequenter vocata non possum aspectu regina deesse». Ille autem consentiens: «Sic fiat,» inquit. Fecit illa, ut ammonita fuit, et omnia verba haec retulit regina. Un giorno, volendo quello dormire con la cameriera, come era abituato, la donna, come era stata istruita, disse: "Se non verrai in quell'ora in tale posto segreto, non possiamo fare l'amore, perché, chiamata spesso, non posso mancare alla vista della regina". Quello acconsentendo disse: "Si faccia così". Fece anche lei, come era stata istruita, e riferì tutto alla regina.
Hora autem facta tenebrosa, induit se Rosmunda vestimenta mancipiae suae, et stans in loco, ubi ad cunsummanda iniquitas fieri debere, tunc ille veniens, cum coepisset obsculari, subdita et levi voce dixit ad eum: «Hora est iam, revertar ad dominam meam, ne forte quaesita tribulatio mihi accrescat.» Tunc ille mansit cum ea in eodem loco, illa se prosternente. Postquam expleto scelere dixit ad eum: «Qua ego sum?» Ille inquit: «Vesteraria regina.» Cui illa subiunxit: «Nonquid non Rosmunda regina sum? Nonne dixi tibi, quod sponte facere noluisti, cogam invite?» Ille vero, cum agnovisset, quia regina esset, coepit plorare et dicere: «Heu mihi, quid induxisti super me hoc peccatum? Quare sine omni occidisti me gladio? Quis thorum regis aliquando maculavit aut reginam oppressit, sicut ego miser?» Tunc illa consolatoria coepit verba proferre et dicere: «Tace! Hac ad salutem facta sunt; tamen talis inter te et Albuinumregem lis misculata est, ut aut tu illum punieris, aut ille suo te gladio truncabit. Antequam haec divulgata sint, primus irrue ineum; et cum dies fuerit aptus, mittam ad te: tu vero veni ad locum paratum, interfice eum!» Fattasi notte fonda, Rosmunda indossò gli abiti della sua serva e si mise nel luogo dove si doveva consumare l'iniquità; quello allora venne e, quando cominciò a baciarla, con voce sommessa gli disse: "Ormai è l'ora che debbo ritornare dalla mia signora, perché non si accresca la mia pena, se vengo cercata". Egli allora rimase con lei in quel posto, mentre quella si coricava. Compiuto il misfatto, gli disse: "Chi sono io?" E quello disse: "La cameriera della regina". E lei aggiunse: "Non sono forse la regina Rosmunda? Non ti avevo forse detto che ti avrei costretto contro tua voglia a fare quanto non volesti fare spontaneamente?" Egli allora, avendo riconosciuto la regina, cominciò a piangere dicendo: "Ahimè, perché mi hai addossato questo peccato? Perché non mi hai senz'altro ucciso con una spada? Chi mai, infelice come sono io, ha macchiato il letto del re e violato la regina?" Allora la regina cominciò a proferire parole di consolazione dicendo: "Taci! Queste cose sono avvenute a fin di bene: tuttavia fra te e re Alboino è sorta una tale contesa che o tu lo punirai oppure egli ucciderà te con la sua spada. Prima che la cosa divenga nota, scagliati per primo su di lui; quando sarà il giorno adatto, ti manderò ad avvertire: tu vieni nel luogo predisposto e uccidilo!".
Diem vero quandam, paratum regale prandium, iocundatus est rex protelante convivium, et bibit tantum vinum, quantum nunquam plurimo biberat tempore, ortante uxore sua. Et postquam se strato suo recepit, Rosmunda ingressa coepit capitis regis capillos huc illuc dividere et cutem unguibus attrectare, quasi pro delectamento ei fuisset. Qui subito somno arreptus, vino cumpulsus, tetigit bis et ter, ut probaret, forte num sopore gravi depressus esset, et misit vocare sceleris sui socium, ut citius veniret. Tunc illa abstulit gladium ancipitem, qui erat ad caput eius, qui utebatur lateri regis, quem spata vocamus, et alligavit iuxta capitalialecti fortiter cum ipsa lora, qua regi praecingebatur lumbos, quod in ipsa infixa erat vagina. Un giorno era preparato il pranzo regale e il re si abbandonò alla gioia prolungando il convito e bevve tanto vino, per esortazione della moglie, quanto mai ne aveva bevuto da moltissimo tempo. Quando se ne andò a letto, Rosmunda entrò e cominciò a spartire di qua e di là i capelli sul capo del re e a toccare la pelle con le unghie, come se gli facesse piacere. Subito fu preso dal sonno, oppresso com'era dal vino; lo toccò due o tre volte per vedere se era immerso in un sonno profondo e poi mandò a chiamare il complice del suo delitto, perché venisse subito. Intanto tolse il gladio a doppio taglio - chiamata spata - che il re portava al fianco e che si trovava vicino al suo capo e la legò a capo del letto strettamente con la cinghia stessa, di cui il re si cingeva i lombi e nella quale era inserito il fodero.
Interfector vero cum venisset, volens a tali evadere scelere, ut in eo manum non mitteret, illa cuntra exprobrabit eum: «Siproferas, infirmus quod sis viribus et non valeas illum interimere, ego in eum manum extendam. Dic tantum, quod imbecillis sis virtute; modo cunspicis, quid fragilis faciat sexus». Haec intentio inter eos adcrevit pene hora una. Cumque molesta ei esset et vim faciente, ut regem occideret, subiunxit dicens: «Gladium eius, quem expavescis, maxime involutum et fortiter ligatum est». Et ille: «Tu nosti, vir quia praeliator est et fortis viribus est et validissimus manibus. Multa vicit bella, plurimos subiugavit, inimicorum castra prostravit, depopulatisque hostibus, alterius oppida termino suo iunxit. Et qui haec sine alterius metu omnia quassavit, quomodo eum solus ego possum iugulare?» At illa cum tristitia dixit illi: «Nullum mihi inpingere crimen aliquod potes. Recordare scelus, quod fecisti; quia si nudatus fueris, morieris; omnes enim praeter regem me diligunt. Si hoc quis scierit facinus, occulte interficere te faciam.» Quando venne il sicario, volendo questi sottrarsi a tale delitto, per non alzare su quello la propria mano, lei lo vituperò dicendo: "Se fai vedere quanto sei debole di forze e non sei capace di ucciderlo, tenderò io la mia mano contro di lui. Devi soltanto dire che sei un vigliacco; ora vedrai che cosa sa fare il sesso debole". Questo scontro tra loro durò quasi un'ora. Insistendo quella e forzandolo a uccidere il re, soggiunse: "La sua spada, di cui hai paura, è legata con la massima sicurezza". E quello: "Tu sai che è un guerriero validissimo. Ha vinto molte guerre, moltissimi ha soggiogato, ha distrutto accampamenti nemici e, sbaragliati gli avversari, ha annesso ai suoi territori le città di altri. Come posso io da solo uccidere colui che tutte queste gesta ha compiuto senza avere paura di nessuno?". Tristemente la regina gli disse: "Non puoi addossarmi alcun crimine. Ricorda il misfatto che hai compiuto: se ti sei denudato, dovrai morire, perché tutti, a parte il re, mi vogliono bene. Se qualcuno verrà a conoscere questo delitto, ti farò uccidere di nascosto".
Ad haec verba ille aporiatus, ingressus est cubiculum, ubi rex ex parte vino digesto iacebat; et accessit ad stratum regis, eduxit gladium, ut interficeret eum.Ille vero sentiens, evigilans de somno surrexit. Voluit gladium evaginare, et non valuit, quia colligatus uxoris manibus fortiter fuerat. Tunc arripiens scabellum, ubi pedes ponere solitus erat, pro scuto usus est seque modice defendit; vociferansque, nullus erat qui audiret, eo quod iussu uxoris suae, quasi regi quies, omnes ianuae palatii clausae erant. Superatusque rex interfectus est. Smarrito di fronte a queste parole, quello entrò nella stanza, dove giaceva il re dopo avere in parte digerito il vino; si avvicinò al letto del re e trasse la spada per ucciderlo. Quello sentì e svegliandosi si levò su. Avrebbe voluto sguainare la spada, ma non poté perché era stata legata strettamente dalle mani della moglie. Allora, afferrando lo sgabello su cui era solito appoggiare i piedi, se ne servì come di uno scudo e per un po' si difese; gridava, ma non c'era nessuno che udisse, perché per ordine della moglie tutte le porte del palazzo erano state chiuse come per il riposo del re. Sopraffatto, il re fu ucciso.
Volueruntque Langobardi hunc interimere homicidam et reginam cum ipso; sed notum cunsilium, venit Veronam, donec furor populi cunquiesceret. Sed iurgantes fortiter Langobardi contra eam, depopulatum palatium. I Longobardi avrebbero voluto uccidere l'omicida e la regina con lui, ma lei, scoperta l'intenzione, si recò a Verona, finché si placasse il furore del popolo. Ma i Longobardi protestavano violentemente contro di lei, devastando il palazzo.
Cum multitudine Gebedorum et Langobardorum mense Augusti Ravennam venit et honorifice a Longino praefecto suscepta est cum omni ope regia. Post aliquantos autem dies misit ad eam praefectus, dicens: «Si caritati mea copulata fuerit et se lateri meo adhaerere voluerit et connubio iunxerit, amplius erit post, quam modo regina est. Nonne ei melius est, ut regnum et principatus totius Italiae teneat, quam hoc perdat et regnum amittat?» Illa autem mandavit ei, dicens: «Si ille vult, infra paucos dies fieri potest». Con molti Gepidi e Longobardi nel mese di agosto venne a Ravenna e fu accolta con onore dal prefetto Longino con ogni fasto regale. Dopo alcuni giorni il prefetto le mandò a dire che se avesse voluto corrispondere al suo amore, stare al suo fianco e unirsi a lui in matrimonio, in seguito sarebbe stata ancor più regina di quanto lo era ora. Non sarebbe stato meglio per lei avere il regno e il principato di tutta l'Italia piuttosto che perdere questo e il suo regno? Ella gli mandò a dire che se voleva, la cosa si poteva fare entro pochi giorni.
Die vero quadam, dum balneum parare iussisset, et vir, qui maritum occiderat, lavacrum ingrederet, postquam egressus de balneo, in ipso fervore corporis, quod calor obsederat, attulit Rosmunda calicem potione plenum, quasi ad regis opus; erat enim venenum mixta. Tunc ille sumens de manu eius vasculum, coepit bibere. At ubi intelligens, potum esset mortis, submovit ori suo poculum, dedit reginae, dicens: «Bibe et tu mecum.» Illa vero noluit; evaginatoque gladio stetit super eam et dixit: «Si non biberis de hoc, te percutiam.» Volens nolens bibit, et ea hora mortui sunt. Un giorno, dopo che aveva ordinato di preparare il bagno, l'uomo, che aveva ucciso il marito, entrò nella sala da bagno e quando ne uscì, col corpo tutto accaldato, Rosmunda gli presentò un calice pieno di bevanda, come per ristoro del re, ma era bevanda avvelenata. Egli allora, prendendo la coppa dalla sua mano, cominciò a bere. Ma quando si accorse che era una bevanda mortale, distolse dalla bocca la coppa e la porse alla regina dicendo: "Bevi anche tu con me". Quella rifiutò; allora sguainata la spada, le stette addosso dicendo: "Se non berrai, io ti colpirò". Pur non volendo quella bevve e in quell'ora morirono.
Tunc a Longinus praefectus abstulit omnes Langobardorum thesauro et cunctas opes regias, quas Rosmunda de Langobardorum regno attulerat, una cum Rosmundae et Alboini regis filia ad Iustinianum imperatorem Constantinopolim transmisit; et gavisus est imperator et auxit praefecto plurima. Allora il prefetto Longino prese tutti i tesori dei Longobardi e tutte le ricchezze regali, che Rosmunda aveva portato dal regno dei Longobardi, e li mandò a Costantinopoli all'imperatore Giustiniano insieme con la figlia di Rosmunda e di re Alboino. L'imperatore fu molto contento e attribuì moltissimi onori al prefetto.

Ribadita la lettura di Paolo, anche se Agnello elimina Peredeo, il manipolato sarà Elmichi (pur insistendo molto sull'episodio).

2. La coppa-teschio

L'uso di brindare con il teschio di nemici è attribuito da Erodoto e Strabone agli Sciti (cfr Balfour 1897: 349). Non vi sono reali notizie in merito a tal uso longobardo, se non per la testimonianza di Paolo Diacono.

Nel Tieste di Tacito il mito della vendetta si arrichisce di una coppa che contiene il sangue dei figli (Tacito è il modello per la Rosmunda di Rucellai).

Se ne parla come di un fatto storico solo a partire dalla Cosmographia di Münster 1544 (dov'è anche una raffigurazione).

Bayron ci scrive sopra un sonetto | | (testo) | (notizie da Kilgour 1925: 8)

Coppe teschio possono comprare anche su Amazon: |  

| Rosmunda Kapemort è un vino rosato dell'Irpinia

Bibliografia

 Sebastian Münster, Cosmographia Beschreibung aller Lender (Basel: Henrichum Petri, 1544): 105r [trad. it] Sei libri della cosmografia Universale ne’ quali, secondo che n’anno parlato i più veraci scrittori, son disegnati i siti de tute le parti del mondo habitabile & le proprie doti, le tavole topographice delle regioni, le naturali qualità del terreno (1559): |  ii ed. 1575: 186

 Henry Balfour, "Life history of an Aghori Fakir, with exhibition of the human skull used by him as a drinking vessel, and notes on the similar use of skulls by other races", The Journal of the Anthropological Institute of Great Britain and Ireland, 26 (1897): 340-357.

 Pagina wiki su Alboino (con un capitolo sulla skull cup).

 Pagina wiki su Skull cap

Erodoto, Historíai | Storie, iv.64-65 | fig.

64. Ecco poi come si regolano per la guerra. Quando uno Scita ha abbattuto il primo nemico, ne beve il sangue: di tutti quelli che ha ucciso in battaglia porta la testa al re, perché se si presenta con delle teste partecipa alla spartizione del bottino eventualmente conquistato, altrimenti no. Effettuano così lo scalpo: incidono la pelle tutto intorno alla testa all'altezza delle orecchie, la afferrano e la strappano via; poi con una costola di bue ciascuno la scarnifica e la rende morbida con le sue mani; dopo la concia se la tiene come se fosse una pezzuola: la appende ai finimenti del proprio cavallo e se ne vanta, perché chi possiede più pezzuole è considerato il più valoroso. Non pochi con questi scalpi si fanno persino dei mantelli da indossare, cucendoli assieme come fossero casacche da pastori. Molti poi asportano la pelle della mano destra ai cadaveri dei nemici, con tutte le unghie, e ne fanno coperchi per le faretre. La pelle umana risultava appunto spessa e lucida, la più lucida forse, per bianchezza, fra tutte le pelli. Molti scorticano addirittura interi uomini, ne tendono la pelle fra dei legni e la portano in giro a cavallo.
65. Tali sono dunque le loro consuetudini. Le teste poi, non di tutti, ma quelle dei peggiori nemici, le trattano così: segano la calotta cranica sotto le sopracciglia e la ripuliscono; poi, se uno è povero si limita a rivestirla esternamente con pelle di bue non conciata e se ne serve così come tazza, se invece è ricco, oltre alla pelle di bue esterna, la riveste d'oro internamente. Fa così anche con i familiari, se sia sorta una lite, chi riesca a prevalere in giudizio davanti al re. E quando uno riceve degli ospiti un po' importanti, gli mostra queste teste e gli spiega che si tratta di parenti che gli hanno portato guerra e sui quali lui ha trionfato: e ne parla come di una autentica impresa valorosa.  

3. Narrativa

1350 | Boccaccio, De casibus virorum illustrium

Le Sventure degli uomini illustri (anche tradotto come "La caduta...") è una carrellata in 9 libri disposti cronologicamente di uomini famosi finiti male. La vicenda di Rosmunda è ai § 22-23 del libro viii, qui nella traduzione dell'ezione Mondadori 1983 (testo a fronte).

  Giovanni Boccaccio, 22. De Rosemunda Langobardorum regina + 23. In mulieres, in 9. De casibus virorum illustrium [ca 1350], ed. a cura di Vittorio Zaccaria (Milano: Mondadori, 1983): 741-747 | (nota, p. 1034).

Boccaccio chiama Cunimondo 'Turismondo'.

Dice Rosmunda 'mestissima' e 'infelice', assecondando la lettura di Paolo, e fa una tirata contro le donne che "aspettano cose più alte di quelle che richieda il loro sesso".

1438 | John Lidgate, The fall of princes

Poema di 36 mila versi tratto dal De casibus di Boccaccio. Il caso di Romunda è cantato ai vv. 3256-3381 (125 versi) del libro viii.

  Lidgate's Fall of princes, ed. Henry Bergen, 3 vols (Washington: Carnegie institution), iii: 914-918.

Turisund, king of the Gepidae, requested Bochas to write his adversity and the unhappy fate of his daughter Rosamond, to whom Fortune was contrary all her life. | Alboin, king of Lombardy, slew Turisund in battle and afterwards married Rosamond. | (And when I first read her story and knew how ungracious her marriage was, I grew pale and confused at the thought of writing in detraction of her name. | So I will forbear and pass over the rest lightly; for it would blot this book to tell the manner of all her sins.) | After his victories King Alboin let cry a feast to put his triumph in memory, | and as he sat in his royal estate he became drunk, and bade Queen Rosamond drink a taunt to her father. | She looked upon it as an insult to drink to her father, whom Alboin had slain, and determined to be revenged. | She waited a Iong time, and at last persuaded a squire named Peredeo to murder her lord, which he did although Alboin defended himself to the last with a broken spear. | After the murder Rosamond took all Alboin's treasure and fled with Hilmichis her squire, to Ravenna. | She then married Hilmichis, but growing tired of him – for her affections were promiscuous – | had an affair with the Provost of Ravenna. Hilmichis she sought to murder. | One hot day when he was thirsty after bathing, she gave him a goblet of poisoned wine. | After he had drunk up half, his body began to swell and he grew deadly pale, and, suspecting treason, compelled her to drink the rest. They both died. | I find little profit in this chapter, except that it reminds us that murder always cries vengeance before God. | Rosamond slew Alboin, and afterwards she and Hilmichis killed one another. | Both lost their lives; treason punished by treason; murder for murder. | As men give, so shall they receive; and as they deserve, such shall be their reward.
Turisund [= Cunimondo], re dei Gepidi, chiese a Bochas [a] di scrivere le sue avversità e l'infelice destino di sua figlia Rosamond, alla quale la Fortuna fu contraria per tutta la vita. | Alboino, re di Lombardia, uccise Turisund in battaglia e poi sposò Rosamond. | (E quando lessi per la prima volta la sua storia e seppi quanto poco grazioso fosse il suo matrimonio, impallidii e mi confusi al pensiero di scrivere a detrimento del suo nome. | Perciò mi asterrò e passerò sopra al resto con leggerezza, perché sarebbe un peccato raccontare tutti i suoi peccati.) | Dopo le sue vittorie, il re Alboino organizzò un banchetto per ricordare il suo trionfo, e mentre sedeva nella sua dimora reale si ubriacò e fece brindare alla regina Rosamond per una burla al padre. | Lei considerò un insulto bere a suo padre, che Alboino aveva ucciso, e decise di vendicarsi. | Aspettò a lungo e alla fine convinse uno scudiero di nome Peredeo ad uccidere il suo signore, cosa che fece nonostante Alboino si fosse difeso fino all'ultimo con una lancia spezzata. | Dopo l'omicidio, Rosamond prese tutto il tesoro di Alboin e fuggì con Hilmichis, il suo scudiero, a Ravenna. | Sposò poi Hilmichis, ma stanca di lui - poiché i suoi affetti erano promiscui - ebbe una relazione con il prevosto di Ravenna. Lei cercò di uccidere Hilmichis. | Un giorno caldo, quando lui aveva sete dopo il bagno, gli diede un calice di vino avvelenato. | Dopo averne bevuto la metà, il suo corpo cominciò a gonfiarsi e divenne mortalmente pallido e, sospettando un tradimento, la costrinse a bere il resto. Morirono entrambi. | Trovo poco utile questo capitolo, se non perché ci ricorda che l'omicidio grida sempre vendetta al cospetto di Dio. | Rosamond uccise Alboino e poi lei e Hilmichis si uccisero a vicenda. | Entrambi persero la vita; tradimento punito da tradimento; omicidio per omicidio. | Come gli uomini danno, così riceveranno; e come meritano, tale sarà la loro ricompensa.
a. "Bochas" è la versione longobarda di Boccaccio.
Pur da Boccaccio è tutto molto edulcorato, tacendo gli aspetti più scabrosi: Rosmunda ne esce più vittima che carnefice.

1515 | Rucellai, Rosmunda

  Giovanni Rucellai, Rosmunda tragedia [1515], Siena: Michelagnolo di Bartholomeo, 1525.

  riassunto e informazioni da Liguori 1905

Atto III:

Alboino: Chi vuol reggere imperi stati o regni
gli bisogna esser, sopra ogn'altro, crudo
perché da crudeltà nasce il timore
e dal timor l'ubidienza nasce
per cui si regge e si governa il mondo [...]
Messaggero: Eccoti invitto re l'odioso teschio [...]
Alboino: Segate il cranio e fatelo ben netto
e circondate d'or l'estreme labbra
perché nei più solenni miei conviti
ber vo' con esso per memoria eterna

Racconto di una serva (atto IV, pp. Fii/r-v)

Albuin, preso questo orrendo vaso,
l'empì di vino e sorridendo disse:
"Comundo, impongo alle discordie nostre
per tutto fine, e fo con teco pace
in questo allegro dì bevendo insieme"
Così detto le labbra al teschio pose
e bevve la più parte di quel vino.
Di poi rivolto in verso di Rosmunda,
la qual per non veder sì orribil cosa
volta avea indietro la dolente faccia,
e disse: "Ecco la testa di tuo padre:
bevi con essa e seco ti rallegra"
La misera, condotta in questo loco,
piangendo refuggia sì duro bere
e quanto più fuggia quanto più forte
instava con minacce alte e superbe.
Finalmente, espugnata ben tre volte,
con la tremante man volse pigliare
l'amara tazza, e tante volte volse a basso,
vinte dalla pietà, cascor le mani.
Al fin il re la prese et alla bocca
di lei la pose onde sforzata e vinta
d'indi beveo più lacrime che vino.

Rosmunda è interamente vittima di un Alboino efferato: nulla fa di male, persino la morte di Alboino è per iniziativa di Almachilde (Elmichi).

1546 | Margherita d'Angoulême, Heptaméron, giorno 4/2 (#32)

Raccolta di 72 novelle di Margherita d'Angoulême (1492-1549), regina di Navarra, pubblicata postuma nel 1558 | trad. inglese | alter

riassunto:] Oisille racconta la storia di un emissario del re che viene ospitato per la notte nel maniero di un nobile. Durante la cena assiste alla moglie di quest'ultimo che beve da un teschio e poi si ritira dal tavolo senza parlare con nessuno. Chiedendo la causa di ciò, l'emissario si sente rispondere che la moglie aveva tradito il marito, che aveva ucciso il suo amante, e che ora la punisce con un costante ricordo dell'uomo che amava. "Affinché non perda il ricordo di questo cattivo, faccio in modo che le venga servito il suo teschio al posto della coppa, quando mangia e beve a tavola, e questo sempre in mia presenza, in modo che possa vedere, vivo, colui che la sua colpa ha reso suo nemico mortale, e morto, per amore di lei, colui il cui amore ha preferito al mio. E in questo modo, a cena e a cena, vede le due cose che le devono dispiacere di più, cioè il suo nemico vivo e il suo amante morto; e tutto questo a causa del suo grande peccato".
Grazie all'intercessione dell'emissario, il marito e la moglie si riconciliano, lui la perdona e continuano ad avere molti figli insieme.
I membri del partito non sono d'accordo sul fatto che la punizione della donna fosse giustificata. "La punizione", dice Parlamente, "era a mio avviso molto ragionevole, perché, come il reato era più della morte, così doveva essere la punizione". Tuttavia, Longarine chiese: "Come si può riparare alla vergogna? Sapete che, qualunque cosa una donna possa fare dopo un misfatto del genere, non può riparare il suo onore".
"Ti prego", disse Ennasuite, "dimmi se la Maddalena non ha ora più onore tra gli uomini di sua sorella che è rimasta vergine?".

1554 | Bandello, Novelle, III parte, novella 18

Opera di Matto Bandello (1485-1561) ispirata a Boccaccio: le prime tre parti pubblicate nel 1554, la quarta postuma nel 1573

testo 

1579 | Cavallerino, Rosimonda regina

Scritta nel 1579 ma pubblicata solo tre anni dopo. Tutta incentrata sulla vendetta di Rosimonda per mano di Elmichi, qui chiamato Elminge. Il banchetto è solo evocato | info

Antonio Cavallerino, Rosimonda regina (Modena: Paolo Gadaldino, 1582)

1589 | Pietro Cerruti, Rosimonda

info

1591 | Alberto Parma, Rosmonda

info

1608 | Chretien, Albouin, ou La vengeance

terzo titolo di: Nicolas Chrétien sieur des Croix, Les tragedies, Rouen: T. Reinsart, 1608.

1619 | Angelica Scaramuccia, Regina Rosmonda

info

1631 | Struys, Albonus en Rosimonda

Jacob Struys, Albonus en Rosimonda: treurspel, Amsterdam: C. W. Blaeuw-Laecken, 1631.

In Jan Fransen ("Les comédiens français en Hollande au xviie et au xviiie siècles", Bibliothèque de la Revue de litteérature comparée», 25, 1925: 413-424; rist. Genève: Slatkine, 1978): 10 s’ipotizza possa essere un rifacimento di Chrétien 1608.

1665 | Hjärne, Rosimunda

La prima scritta in svedese, rappresentata nel 1665. Fu pubblicata nel 1959 e ripresa nel 2012 (recensione). Il critico Sven Stolpe la considera pessima (vedi la voce wiki)

Urban Hjärne, Rosimunda [1665], i ed. mod. a cura di Elias Wessén (Stockholm, Svenska bokförlaget, 1959).

1670 | Soderini, Rosimonda

Tragedia che ispira il libretto di Frigimelica. Nella ristampa (1683) vi è anche un'antiporta figurata.

Libretto (1670) | Libretto (1683)

1720 | Giuseppe Gorini Corio, Rosimonda vendicata

Ripubblicata nel 1729 come Rosimonda vendicata

Testo 1720

Testo 1729

1779 | Alfieri, Rosmunda

Unico contributo settecentesco. Alfieri dice che Rosmunda «è un carattere di una singolare ferocia, ma pure non in verisimile, visti i tempi: e forse non del tutto indegna di pietà [...] se si pon mente alle crudeltà infinite a lei usate da altri»

Testo

1822 | Francesco Gambara, Rosmunda in Ravenna

Tragedia

Testo

1823 | Francesco Gambara, Rosmunda in Verona

Tragedia

Testo

1827 | Benedettini [Amarilli Etrusca], Rosmunda in Ravenna

Teresa Benedettini fu ballerina e poetessa, amica di Alfieri, Monti, Foscolo, Pindemonte. In tarda età scrisse tragedie. Testo tratto da Gambara 1822?

Ci si sofferma sul doppio avvelenamento fra lei ed Elmigiso (Elmichi). Con colpe meno evidenti che in Alfieri, Rosmunda conserva la sua dignità.

Testo

1841 | Pietro Corelli, Rosmonda

Testo

1847 | V.G., Rosmunda

Una burla (di 50 versi) che presagisce i Gufi

Testo

1860 | Algernon Swinburne, Rosamond Queen of the lombards

Edizione del 1899.

1870 | Robert Burton Rodney, Alboin and Rosmund

Robert Burton Rodney, Alboin and Rosmund, and lesser poems (Philadelphia 1870).

1875 | Kingsford, Rosmunda the Princess

racconto.

1911 | Benelli, Rosmunda

La tragedia allestita nel 1911 e pubblicata l'anno dopo, diventerà il libretto dell'opera omonima di Trentinaglia (cfr 1929)

Sem Benelli, Rosmunda: tragedia in quattro atti (Milano: treves, 1912)

1911 | Campanile, Rosmunda

A 11 anni scrive la tragedia in cinque atti Rosmunda (parodia di quella di Sam Benelli) con il celebre verso:

alboino   Bevi Rosmunda | nel teschio tondo | di tuo papà | re Cunimondo.
rosmunda  Caro Alboino, | bere non posso | tutto quel vino | dentro quell'osso

Venne declamata alla presenza di Pirandello nel salotto di Lucio d’Ambra, e pubblicata «in un giornaletto di pettegolezzi letterari». L’episodio fu raccontato in Autoritratto.

testo della tragedia

informazione sul materiale conservato (dalla tesi di Nicolatta Pia Rinaldi 2018)

1915 | Cadicamo

1988 | Pierotti Cei, Rosmunda la regina barbara

romanzo | info

2000 |

4. Immagini

xv sec.

Elmichi impone a Rosmunda di bere, Fr. 226, f. 240v (Boccaccio, De casibus, ms. ca 1420)

Elmichi offre il veleno alla regina Rosmunda, (Boccaccio, De casibus, ms. ca 1480)

xvi sec.

Banchetto di Rosmunda, incisione in Stumpf, Gemeiner loblicher Eydgnoschafft Stetten (Zürych 1548) | info

xvii sec.

Peter Paul Rubens, The Lombard king Alboin makes Rosamunde drink from the skull of her father, who was killed by him (ca 1620, Wien, Kunsthistorisches Museum)

Antiporta di Struys 1631 | cfr Narrativa

Luciano Borzone (Genova 1590-1645), Banchetto di Rosmunda (ca 1640, proprietà privata) | info

Anonimo bolognese, Rosmunda e Alboino (ca 1650, Venezia, Palazzo Labia) | info

Charles C. Dauphin, [Alboino e Rosmunda] (ca 1660), inciso da J.J. Thurneysen (ca 1720), già pubblicata nelle edd. veneziane di E. Tesauro, Del regno d'Italia sotto i barbari (Torino 1663, Venezia 1667, Bologna 1680, Venezia 1680)

Pietro Della Vecchia, Rosmunda costretta a bere dal teschio di suo padre (1660)

Antiporta del libretto di Rosimonda di Soderini (1683) cfr Narrativa

— Antiporta del libretto di Rosimonda di Frigimelica (1695) cfr Opere

xix sec.

Peter Johann Nepomuk Geiger, Morte di Rosmunda, in Anton Ziegler, Historische Memorabilien des In- und Auslandes, 2 voll. (Wien 1840), ii: fig. 32 (1840)

Charles Landseer, Assassinio di Alboino (1856)

Frederick Sandys, Rosamund, Queen of the Lombards (1861)

[illustrazione non identificata] (xix sec.) | colorata

Rosmunda ed Elmichi, illustrazione del racconto della Kinksford (v.) (1875)

[anonimo], Alboino costringe Rosmonda a bere dal teschio di Cunimondo (ca 1880), collezione privata |

— Banchetto di Alboino, illustrazione in Edmund Ollier, Cassell's illustrated universal history. 3: The Middle Ages (London: Cassell, 1884), p. 37

Lodovico Pogliaghi (incis. Catalalli), Rosmunda fa trucidare Alboino, in Francesco Bertolini, Storia d'Italia. 2: Medio Evo (Milano: Treves 1892) colorata

xx sec.

- pittore

Frontespizio di Rosmunda di Sem Benelli (1911)

Tancredi Scarpelli, illustrazione per Paolo Giudici, Storia d'Italia: Il Medioevo (1930)

Fortunio Matania, illustrazione in "Old tales re-told: A gruesome cup: The odeal of queen Rosamond", Britannia and Eve, 24/3 (1942): 22-27: 24 (1942) | info

Gaetano Albanese [illustrazione] (ca 1960)

[illustrazione] da Storia d'italia a fumetti (1988) | info

| Domenico Di Mauro (1913-2016) [video: 1990 | 2013], Alboino invita Rosmunda a bere dal cranio di suo padre, carretto siciliano al Museo del Carretto Siciliano Gullotti

 

5. Opere

1691 | Alboino in Italia (Corradi-Pollarolo)

libretto

1695 | Rosimonda (Frigimelica-Pollarolo)

Opera allestita a Venezia San Giovanni Grisostomo: uno dei primi esempi di finale tragico e una delle opere più cupe dell'epoca.

Frigimelica rende Albsuinda figlia di Rosimonda, e finge che la ragazza si sia innamorata di Elmichi, qui chiamato Ermechildo. Ovviamente, la seduzione di Rosimonda nei confronti di Er mechildo sarà uno shock per Alsuinda, che dovrà patire il doppio omicidio reciproco di madre e fidanzato.

Sinossi:

            Gran sala con sontuoso apparecchio per cena reale
I 1 Festino: Rosimonda afflitta per morte del padre / Balli / Alboino invita la moglie per festeggiare nozze di Cleffo con Alsuinda a bere nel teschio del padre (Longino alla vista della coppa evoca le «cene di Tieste») / Rosimonda vorrebbe vedere Alsuinda sopasata all’amato Ermechildo
    Si muta la sala in loco funebre
  2-4 Rosimonda giura di vendicarsi / aria – Longino dichiara il suo amore alla regina e le propone di fuggire, ma lei vuol vendicarsi / aria – Longino solo rivela di voler usare l’ira di Rosimonda per prendere il trono di Alboino / aria
    Luogo delizioso del palazzo illuminato dalla luna
  5-8 aria: Alsuinda canta la tristezza dei matrimoni imposti / Attende con due damigelle Ermechildo – Lei lo ama ma non può disattendere il volere del padre e medita la morte / duetto – Giunge Rosimonda che vuol rimanere sola con Ermechildo – Ermelchido è disposto a tutto per sposare Alsuinda / aria di sdegno / Potranno compiersi i piani di Rosimonda / aria
    Loggia terrena illuminata
II 1-4 Rosimonda dice ad Alsuinda di sposare Ermechildo ma lei teme l’ira del padre e preferirebbe morire / aria – Rosimonda dichiara alle ancelle (aria di una di quelle) che vuol mettere Ermechildo contro Alboino perché quello poi sia obbligato a uccidere il re / aria di sdegno – Cleffo cerca riconciliarsi con Rosimonda per aver la mano della figlia / aria – Longino offre del veleno a Rosimonda per Alboino, ma lei non vuol usarlo: per farglielo bere dovrebbe lusingarlo e non vuole / duetto
    Giardino reale
  5-8 Alsuinda si convince a non sposare Cleffo / 2 ariette – Longino la convince a non sposare nemmeno Ermechildo / aria – Longino sa che ciò irriterà Rosimonda e la convincerà a uccidere Alboino / aria – Ermechildo solo è incerto se sposare Alsuinda contro il volere di Alboino / aria
    Anticamera comune a’ due appartamenti del re e della regina
III 1-4 Rosimonda dice a Ermechildo di sposar lei, dal momento che la figlia non si concede, quindi di uccidere Alboino per esser re / aria – Rosimonda attende timorosa che Alboino sia ucciso / aria – Ermechildo le dona la testa mozzata di Alboino / duetto (minore) – Giunge Cleffo e Rosimonda accusa «il greco» del delitto / duetto
    Cortile del palazzo reale
  5-7 Longino ha saputo chi è il vero omicida ed esulta / aria – Longino informa Alsuinda chi è l’omicida e il mandante / aria – Ermechildo ammette le sue colpe con Alsuinda (anchè di aver sposato sua madre): aria / Dolore di lei: aria
    Stanza della regina
IV 1-5 Longino dice a Rosimonda che se non lo sposa dirà al mondo chi è la vera causa della morte di Aboino / 2 arie – Rosimonda scopre che la figlia sa tutto – Ermechildo informa che il popolo è rimasto fedele ad Alboino – Le damigelle riferiscono che il popolo è insorto – Rabbia e disperazione d’Alsuinda – aria
    La piazza maggiore della città piena di popolo … con la testa del re …
  6-8 Cleffo accende gli animi ed è eletto successore – Longino accusa pubblicamente Ermechildo e Rosimonda, ma Cleffo non può credere che Rosimonda sia colpevole – Ermechildo si difende ma Cleffo lo sfida a duello
    Gabinetto reale coi tesori dei longobardi
V 1-5 Ermechildo chiede ad Alsuinda di perdonarlo, lei ha una risposta ambigua ma accorata / duetto – Rosimonda li rimette in riga, ricordando loro i propositi – Ricorda poi a Ermechildo il loro proposito, ma lui vuol solo morire – Rosimonda chiede aiuto a Longino, promettendogli al mano e il regno – Longino esulta
    Atrio magnifico delle terme reali
  6-9 Rosimonda annuncia alle ancella che avvelenerà Ermechildo – Rosimonda avvelena Ermechildo, ma questo se ne accorge e la obbliga a bere anch’essa che nmuore / aria – Ermechildo muore fra le braccia di Asuinda – Ultime parole di Cleffo

Aria di Rosimonda (I.2) | |

Vieni vien tinto di sangue
padre mio furia adorata
a me spira odio e furor
Fin che bacia il labbro esangue
l'ossa tue bocca onorata
parla orrori a questo cor

Libretto: 

Partitura:  (atto I) | (atto II) | (atto III) | (atto IV) | (atto V)

1801 | Rosmonda (Filistri-Reichard)

Opera di Johann Friedrich Reichardt su libretto di Antonio de' Filistri da Caramondani, rappresentata a Berlino nel Carnevale del 1801.

Libretto: 

La partitura si conserva a Berlino | Info Grove

1830 | Rosmunda (ballo: Guerra-Raimondi)

Ballo pantomimo di Antonio Guerra con musica di Pietro Raimondi allestito a Napoli (ottobre 1930) da Alfieri | info

1837 | Rosmunda in Ravenna (Paladini-Lillo)

Opera di Giuseppe Lillo su libretto di Luisa Amalia Paladini (da Benedettini) , rappresentata a Venezia il 26 dicembre 1837.

Ripresa a Venezia (teatro Apollo) nell'aprile 1856

Info e trama

Libretto:  | | |

La partitura si conserva a Venezia, Teatro la Fenice (info) | estratti ad Ostiglia (info)

Scena ultima: Idobaldo, è l'ambasciatore longobardo, amico di Almachilde [= Elmichi], giunto a Ravenna per convincere i fuggitivi a tornare. È Itulbo [= Longino] ad aver convinto Rosmunda che Almachilde lo tradisce, pertanto Rosmunda nella scena precedente ha avvelenato il (secondo) marito.

Idobaldo (e coro di dentro [di Longobardi]) Almachilde!
Rosmunda (smaniando)                             Oh dolor nuovo!
Idobaldo (come sopra) Vieni!
Rosmunda             Ahi, dove?
Idobaldo (esce coi suoi Longobardi)                                    Alfin ti trovo! [a Rosmunda]
Meco vieni, al campo io scendo,
ci apriran miei fidi un varco.
Anco a forza trarti intendo
se presisti ne tuo error.
Almachilde (a Idobaldo) Va, mi lascia!
(a Rosmunda)                               Dal tuo fianco
non vi ha forza che mi sciolga.
(Itulbo, Menete, coro, soldati greci escono
minacciosi, indi a poco Eugilde e le damigelle
)
 
Rosmunda Oh Almachilde!
Itulbo                                     Olà si tolga
ogni passo.
Idobaldo (ad Almachilde)                         Vieni o ch'io...
Almachilde (comincia a vacillare) Cessa, invan... Qual strazio, oh Dio,
ardo, manco...
Rosmunda                         Oh mio terror!
Idobaldo (spaventato) Almachilde! (lo sostiene aiutato dai Longobardi)
Eugilde e damigelle                         Ciel che avvenne?
Idobaldo (lasciando Almachilde e fissando
Rosmunda come compreso da orrendo sospetto
)
Empia, forse...?
Rosmunda (quasi fuori di sé)                                    Ah sì, son tale...
Almachilde Ah che ascolto! Tu? Fatale
più che morte è tal parola.
Itulbo (a Rosmunda) Deh mi segui, ti consola.
Rosmunda (respingendolo) Sgombra, vanne ingannator!
(poi volgendosi ad Amalchide
nell'estrema angoscia
)
Sposo m'odi: fui sedotta,
ingannata, ed io smarrita
mi credea da te tradita
e, pietà, colpevol sono
ma mi resti il tuo perdono,
ti commuova il mio dolor.
Almachilde (agonizzante) Sì tel credo. Ti perdoni
meco il Ciel, ma orribil vita
nel rimorso or tu vivrai.
Sì tu pure alfin saprai
ciò che costa un tradimento...
Ma mancar, morir mi sento...
Addio Idobaldo... (spira)
Coro                                          Ei muor.
Idobaldo Oh amico!
Rosmunda (nella massima disperazione)                        Muore ed io
l'uccisi!
Itulbo                  Deh ti calma.
Rosmunda Scellerato! Ah sposo mio...
Coro Oh qual giorno di terror.
Rosmunda Io l'uccisi! Ah non è vero.
io l'mava e l'amo ancora.
Su ti desta, a chi t'adora
un sorriso accorda ancor.
Ah deliro, io t'ho perduto.
Ma quest'empia fia punita!
Ah si spenga con la vita
il mio barbaro furor!
Tutti Ah!
Itulbo         Rosmunda!
Tutti                                   Qual orror!
  Calal il sipario.

1840 | Rosmunda (Zaccagnini-Alary)

Opera di Giulio Alary su libretto di Cassiano Zaccagnini rappresentata a Firenze il 10 giugno 1840

Libretto: 

1843 | Rosmunda en Ravena (Paladini-Porcell)

Opera di Francisco Porcell rappresentata a La Coruña (1844) e Tarragona (1845) [da Parada 1868: 320]

da Rafael Mitjana y Gordón, "La musique en Espagne (Art religieux et art profane)", in Enciclopédie de la Musique et Dictionnaire du Conservatoire, ed. A. Lavignac, L. Laurencie (1920: info); trad. sp. Historia de la música de España (Madrid 1993), p. 436:
Don Francisco Porcell, nacque a Palma di Maiorca nel 1813. Cantò con successo dal 1840 al 1847 in vari teatri della penisola e, il 28 marzo 1843, presentò per la prima volta la sua opera El Trovador al Teatro de Santiago in Galizia. Si trattava della prima interpretazione musicale del celebre dramma romantico di García Gutiérrez che il genio di Verdi, dieci anni dopo (nel 1853), avrebbe reso popolare in tutto il mondo civilizzato. Due anni dopo, Porcell eseguì Rosamunda in Ravenna a La Coruña, una partitura che fu accolta molto favorevolmente. Sua moglie, la signora Mas Porcell, cantante di talento, assicurò il successo delle sue opere con la sua magistrale interpretazione. Questo artista finì per stabilirsi a Barcellona come insegnante di canto.

Libretto:  |

La partitura autografa si conserva in Archivio Ricordi (info | info)

1846 | Rosamunda in Ravenna (Paladini-Dagàs)

Opera di Joan Carreras i Dagas

1847 | Rosmunda regina de' Longobardi (ballo: Casati-?)

Ballo pantomimo di Tommaso Casati, allestito a Milano alla Cannobiana

info | info

1868 | Rosmunda (Canovai-Gialdini)

Esordio operistico di Gialdino Gialdini su libretto di Giovanni Battista Canovai, opera allestita a Firenze, 1868.

Recensione non favorevole

Libretto:  |

1882 | Rosmunda (Scalchi-Magotti)

Opera di Alessandro Magotti

info

1920 | Rosmunda (Siciliani-Pedrollo)

Opera di Arrigo Pedrollo su libretto di Luigi Siciliani (mai rappresentata)

1929 | Rosmunda (Benelli-Trentinaglia)

Erardo Trentinaglia musica la Rosmunda di Sem Benelli (1929) | link | link | link |

Canto e piano: 

6. Donna lombarda

Costantino Nigra, "Donna lombarda", Rivista contemporanea, 12 (1858): 17-48.

È il primo contributo sulla storia della canzone Donna lombarda che poi sarà la prima trattata nel volume:

Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte (Torino: Loescher, 1888) | in part. pp. 1-31

Diego Carpitella, Donna lombarta, tramissione radiofonica (1958)

Donna lombarda

Versione trasmessa nella trasmissione di Carpitella
[amante]
[donna]
[amante]
Ueh lombarda | donna lombarda || se vuoi venire | a cenar con me
Io venireba ben volentieri || ma n'ho paura | de lo mio mari'
Quel tuo marito | fallo morire || fallo morire | che t'insegnerò:
Ueh va nell'orto | dello tuo padre || prendi la lingua | dello serpentin
Prendi la lingua | del serpentino || mettila dentro | in quel bon vin
E alla sera | arriva lo marito || O moglie mia | e porta un po' da ber
Tu lo vuoi nero | tu lo vuoi bianco || Prendilo pure | e come lo vuoi te
Come la val | o moglie mia || che questo vino | è così torbidin
Sarà la pompa | dell'altro ieri || che lo ha fatto | così intorbidir
e un bambino | di nove mesi || appena appena | inominciò a parlar
Padre mio | non lo bevete || che questo vino [le velenos] | le stat avvelena'
E all'onore | di questa spada || moglie mia | bevilo te
E all'onor | di questa spada || donna lombarda || tu devi morir

cantori liguri

Donna lombarda

[amante]
[amante]
Donna lombarda \ perché non m'ami? | [donna:] Perché ho marì
Se c'hai marito \ fallo morire | t'insegnerò:
Laggiù nell'orto \ del signor padre | che c'è un serpen
piglia la testa \ di quel serpente | pestala ben
quando l'avrai \ bell'e perstata | dagliela a ber
[narratore]
[donna]
[marito]

[donna]
Torna il marito \ tutt'assetato | chiede da ber
Marito mio \ e quale vuoi | del bianco o il ner?
Donna lombarda \ dammelo bianco | che leva la se'
Donna lombarda \ che ha questo vino | che l'è intorbé?
Saranno i tuoni \ dell'altra notte | che l'ha intorbé
[narratore]
[marito]
Salza un bambino \ di pochi mesi | Babbo non lo ber \ che c'è il velen
Donna lombarda \ se c'è il veleno | lo devi ber te

| Caterina Bueno (2011)

Donna lombarda

[amante]
Donna
[amante]
[narratore]


[figlio]
[narratore]

[amante]
O donna, donna \ donna lombarda | vorresti venire \ al ballo con me?
E io sì sì \ che vegniria | ma ho paura \ del mio marì
Il tuo marito \ l'è vecio e brutto | farem di tutto \ per farlo morì
Torna il marito \ stanco e sfinito | disse alla moglie \ va' e prendi da ber
Allora la moglie \ scende in cantina | riempie il bichhiere \ gli mette il velen
E aveva un figlio \ di cinque anni | che appena appena \ chiamava papà
Ohi caro padre \ caro padrino | non bere quel vino \ che l'è avvelena'
Allora il marito \ disse alla moglie: | "Prendi il bicchiere \ bevilo tu"
E ad ogni goccia che lei beveva | Gesù Maria \ e addio marì
Vattene vattene \ donna lombarda | che altre donne \ saranno per me

| I cantori da Vermèi (live 2018)

Donna lombarda

[amante]
[donna]
[amante]



[narratore]

[amante]
[donna]
[narratore]
[figlio]
[amante]
[donna]
[atore]
Donna lombarda \ donna lombarda | àmeme mì
Cos volt che t'ama \ che ci ho il marito | che lu 'l mi vuol ben
Vuoi che t'insegna \ a farlo morire | t'insegnerò mi
Va co' dell'orto \ del tuo buon padre | là c'è un serpentin
Taglia la testa \ a quel spertino | poi pestala ben
E poi metla \ nella botticella | dal vin pu se bon
Vien cà il marito \ tutto assetato | và a trar quel vin
Traghià quel bianco \ traghià quel nero | da quel pu se bon
Donna lombarda \ cos'ha quel vino | che l'è intorbolì
È stato il tuo \ dell'altra notte | cghe che l'ha intorbolì
Ed un bambino \ di pochi anni | lu l'ha palesà
O caro padre \ non bere quel vino | che l'è avvelenà
Donna lombarda \ bevi quel vino | che l'è avvelenà
Sol per amore \ del re di Francia | io lo beverò
La s'intendeva | da farla agli altri | la s' l'è fatta a le'

| Canzoniere del Piemonte

| Angelo Branduardi | Cd (2002)

O dona lombarda

[amante]
[donna]
[amante]
Ameme mi o dona lombarda
E come mai vusto ch'io t'ama se go el marì
O che peca' tu sia sposata

Sergio Endrigo, Mia Martini | Cd (1976)

Donna lombarda

[amante]
[amante]


[narratore]
[donna]
[marito]
[narratore]
[figlio]
[marito]
[donna]
[narratore]
Amami me che sono re | [donna:] Non posso amarti tengo marì
Tuo marito fallo morire | t’insegnerò \ come devi far
Vai nell’orto del tuo buon padre | taglia la testa di un serpentin
Prima la tagli e poi la schiacci | e poi la metti dentro nel vin
Ritorna a casa il marì dai campi | [marito:] Donna Lombarda oh che gran sé
Bevilo bianco bevilo nero | bevilo pure come vuoi tu
Cos’è sto vino così giallino | [donna:] Sarà l’avanzo di ieri ser
Ma un bambino di pochi mesi | sta nella culla e vuole parlar
O caro padre non ber quel vino | Donna Lombarda l’avvelenò
Bevilo tu o Donna Lombarda | tu lo berrai e poi morirai
E per amore del Re di Spagna | io lo berrò e poi morirò
La prima goccia che lei beveva | lei malediva il suo bambin
Seconda goccia che lei beveva | lei malediva il suo marì

| De Gregori, Giovanna Marini | Cd (2002)

O Maria bela Maria

[amante]
Maria
[amante]
Maria
[amante]
O Maria, bèla Maria | pijèrmi mi
Come mai völi ch'a fasa | con doi marì?
O Maria, bèla Maria | fèlo murì
Come mai völi ch'a fasa | fèlu murì?
Ëndè 'nt l'ort dël vòster pàdar | j'è 'n serpentin
o pijèlo e ciapisèlo | fè dël bon vin
J'anirà a ca vost marì d'an campagna | con tanta sèi
O Maria, bella Maria, prendi me
Come vuoi che faccia con due mariti?
O Maria, bella Maria, fallo morire
Come vuoi che faccia a farlo morire?
Andate nell'orto di vostro padre, c'è un serpentino
Prendetelo, calpestatelo e fate un buon vino
Verrà a casa vostro marito dalla campagna con tante sete
[marito]
Maria
[marito]
Maria
[narratore]
[bimbo]
O Maria, bèla Maria | j'o tanta sèi
Ëndè di la 'nti la credensa | a j'é l'amolin | bèli pin ed vin
O Maria, bèla Maria | acsì torbolà
Al é 'l vin de l'autra sèira | ch'j'oma vansà
Fantulin dinta na cuna | a l'à bèn parlà
O padre del mio padre | bivilo nèn | ch'a mürirèi
O madre 'd la mia madre | bivilo voi
O Maria, bella Maria ho tanta sete
Andate di là nella credenza c'é l'ampolla piena di vino
O Maria, bella Maria perché così torbido?
E' il vino dell'altra sera che abbiamo avanzato
Il fanciullino dentro alla culla ha parlato:
O padre del mio padre, non bevetelo che morirete
O madre, 'd la mia madre bevetelo voi
Maria
[marito]
[narratore]
Come mai völi ch'a fasa? | Mi j'o nèn sèi
Cun la ponta dla mia spadina | lu bivirèi
A l'à cuminsà bèivni 'na gosa | cambia color
a l'à buini un'altra gosa | M'arcmand a voi
Perch? Non ho sete
Con la punta della mia spadina lo berrete
Inizia a berne una goccia e cambia colore
Ne beve un'altra goccia: [Maria:] "Mi raccomando a voi"

| Le Marie-Jeanne (live 2016) | (alter)

| Coro Bajolese (live 2021) | Cd (2007)

| Maria Canavese e Marco Soria (live 2016)

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Altre versioni | info

Alessia Valle

Versioni in francese | info

Malicorne

Veronique Chalot

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Pizzetti, Tre canzoni su poesie popolari italiane (1926)

[amante]
[donna]
[amante]



[narratore]
[donna]
[marito]
[narratore]
[bambino]
[marito]
[donna]
[marito]
[donna]
[marito]
[donna]
Amami tu, donna lombarda
Non posso amarti, sacra corona, perchè ho marì
Se tu hai marito, fallo morire: t'insegnerò
Va nel giardino del signor padre che c'è un serpen
Prendi la testa di quel serpente, pestala ben
Quando l'avrai ben-ben pestata dannela a be'
Rivò il marito stanco assetato, ni chiese da be'
Di qualo vuole, signor marito, del bianco o del ner?
Del bianco che n'è del meglio che c'è
Parla un bambino di nove mesi
Non ber quel vino che c'è il velen
Che ha questo vino, donna lombardo, che l'è torbè?
Saranno i troni dell'altra sera che l'han fatto torbè
Bévelo tu, donna lombarda
'Un posso beve', signor marito, perchè 'un ho se'
Con questa spada che tengo in mano ti ucciderò
E per amore del re di Francia io morirò ah io morirò

Alda Caiello

7. Altro

1909 | Pasquali, Alboino e Rosmunda

| Film in b/n di Ernesto Maria Pasquali

Sinossi del British Film Institute

108 fotogrammi presso il Progetto Turconi | utili i fotogrammi: 5, 9, 8258, 8264, 19766, 19767, 19768, 19769, 19770 | i cui originali sono presso la George Eastman House: #5, #9

Conservato all'Airsc di Venezia (Catalogo 2012)

1927 | Lovecraft, Ibid

Howard Phillips Lovecraft, Ibid, racconto del 1927, pubblicato postumo nel 1938 | info

La storia segue le disavventure del teschio del letterato Ibido, romano di origine gota, che, morto nel 587, fu riutilizzato da papa Leone per incoronare Carlo Magno, e poi da altri fino ad arrivare in America, in una tana di cani della prateria vicino a Milwaukee, dove infine verrà ritrovato a seguito di un terremoto.

audiolibro | altra versione

1961 | Campogalliani, Rosmunda e Alboino

| Film in inglese (la scena della coppa-teschio è a 1h22')

Soundtraks

Cast e info

1963 | I Gufi, Va' longobardo

Canzone dei Gufi pubblicata nei singolo del 1963, 1964 e 1965, poi inserita in Il teatrino dei Gufi (1966). Riapparve nelle ristampe: I Gufi cantano (1981), Il cabaret dei Gufi (1997), Gufologia (Cd 2004), The best platinum collection (2007), I Gufi in raccolta (Emi)

Dall'Lp

Versione Tv dell'epoca

Altra versione

Versione del 2018 eseguita da Roberto Brivio e Lino Patruno

2015 | Meg Cabot, From the notebooks ...

From the notebooks of a middle school princess è lo spin off di The Princess diary (2000), un romanzo per adolescenti. Nello spin off la protagonista Oliva scopre di essere figlia della principessa Mia Thermopolis che è l'ultima discendente di Rosagunde (non la moglie, ma la figlia di Alboino), la cui vicenda, raccontata nel romanzo, è però quella di Rosmunda.

Magliette e altro

| | | Magliette e altro con il motto "The problem with society today is that no one drinks from the skulls of their enemies anymore"

Vignette

Metal

Blue Jinn, Drinking from the Skull | video | testo

Olden | audio e info

The carburetors | Cd | discogs

8. Bibliografia

Pellini 1889 | Silvio Pellini, La vendetta di Rosmunda (Bologna: Azzoguidi, 1889).

Pratella 1935a | Balilla Pratella, "Per la storia critica della musica del popolo: III. Primo riassunto intorno alla canzone di 'Donna lombarda', Lares, 6/1-2 (1935): 9-33

Pratella 1935b | Balilla Pratella, "Ancora della Donna Lombarda", Lares, 6/4 (1935): 311-312.

Borri 2016 | Francesco Borri, Alboino: frammenti di un racconto (secoli vi-xi), Roma: Viella, 2016.

Gibellini 2004 | Pietro Gibellini, "Non solo Adelchi. Tracce dei Longobardi nella letteratura italiana", in Arte, cultura e religione in Santa Giulia, ed. Giancarlo Andenna (Brescia: Grafo, 2004): 163-173