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Nato a Vaquerais, in Provenza, a metà del XII secolo. Negli anni
Settanta-Ottanta si trasferisce in Italia dove diventa compagno d'armi del
giovane Bonifacio I (dal 1192 marchese del Monferrato e fra il 1201 e '04
comandante della quarta crociata di Costatinopoli). Si ipotizza che Raimbaut
sia morto nel 1207 a fianco di Bonifacio nella campagna di Grecia.
Oltre alla vida (I-Rvat, 5232, c. 160) sopravvive una celebre
lettera epica in versi in cui si raccontano episodi della sua vita cavalleresca
(F-Pn, fr. 856 [anc. 7226], c. 130).
Kalenda maya
Delle 35 poesie attribuitegli rimane la musica di solo sette. La
più celebe è Kalenda maya che, come detto nell'ultimo
verso, è una «estampida», fino a quel momento solo un genere
strumentale. La razo (unicum nel cod. P, alla c. 45r) riferisce che Raimbaut compose il brano dopo aver
sentito la melodia suonata su una viola da due jongleurs francesi. La si
considera quindi il primo esempio di estampie vocale.
— 2000 Jahre Musik Auf Der Schallplatte
| Hans Joachim Mosertenor) | Lp Parlophon, 1935
— French Troubadours Songs
| Y. Tessier (tenor), M. Clary (lute)
| Lp Elektra EKL 31, 1955
— Studio der Frühen Musik
| dir. Thomas Binkley
| Lp Telefunken, 1970
— Troubadours | Clemencic Consort | Lp Harmonia Mundi 1977
— Grands succès du deuxième millénaire
| Skye Consort
| Ombù, 2005
I. La primavera non sarà motivo di gioia finche non potrò amarvi più di ogni altro pretendente. |
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Kalenda
maia |
ni fueills de faia ni chans d'auzell | ni flors de glaia non es qe·m plaia, | pros dona gaia, tro q'un isnell | messagier aia del vostre bell | cors, qi·m retraia plazer novell, | q'amors m'atraia, e jaia | e·m traia | vas vos, | donna veraia; e chaia | de plaia | ·l gelos, | anz qe·m n'estraia. — |
a|a [4'|4'] b|a [4 4'] » » b|a [4|4'] » a|a|c|a [2'|2'|2|4'] » |
Né calenda di maggio |
né foglia di faggio né canto di uccello | né fiore di gladiolo c'è che mi piaccia, | nobile e gaia signora, finché uno svelto | messaggero io riceva dalla vostra bella | persona, che mi riferisca di un nuovo piacere, | sicché amore mi attiri e giaccia | con voi | e mi spinga verso voi, | dama sincera; e cada | ferito | il geloso | prima che mi ritiri. |
Né feste a maggio | né un fresco faggio né canto acceso | né odor d’ortaggio m’é di vantaggio | dama se un saggio non giunge atteso | del vostro omaggio avrò l’avviso | con quel linguaggio che Amor conteso | mi dà vantaggio ingaggio | coraggio | e mi piace | d’un corpo il miraggio dileggio | oltraggio | d’audace | che sta nel tuo raggio |
II. Che nessuno provi a ridere del mio dolore: senza di voi non posso vivere. |
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Ma
bell'amia, |
per Dieu non sia qe ja·i gelos | de mon dan ria, qe car vendria | sa gelozia si aitals dos | amantz partia; q'ieu ja joios | mais non seria, ni jois ses vos | pro no·m tenria; tal via | faria | q'oms ja | mais no·m veiria; cell dia | morria, | donna | pros, q'ie·us perdria. — |
Mia bell'amica, in nome di Dio, non avvenga mai che il geloso rida del mio male, perché pagherebbe caramente per la sua gelosia, se separasse due amanti come questi; perché io non sarei mai più gioioso, né, senza di voi, gioia mi varrebbe: tale via prenderei che più nessuno mai mi vedrebbe; il giorno che vi perdessi, dama eccellente, io morirei. |
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III. Perché temere di perdere un amore che non è nemmeno sbocciato? Amarvi è un privilegio che non ho goduto. |
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Con
er perduda |
ni m'er renduda donna, s'enanz | non l'ai aguda? Qe drutz ni druda | non es per cuda; mas qant amantz | en drut si muda, l'onors es granz | qe·l n'es creguda, e·l bels semblanz | fai far tal bruda. Qe nuda | tenguda | no·us ai, | ni d'als vencuda; volguda | cresuda | vos ai, | ses autr'ajuda. — |
Come sarà perduta e come
potrà essermi restituita una dama se non l'ho avuta? Infatti non si può essere amanti solo con il pensiero; ma quando l'innamorato si muta in amante, grande è l'onore che cresce in lui, e l'espressione felice fa sorgere questo mormorio. Eppure non vi ho mai tenuta nuda, né vinta in altro modo: vi ho desiderata e ho riposto in voi la fede senza altra ricompensa. |
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IV. Non potrei prendere un'altra strada. I maldicenti che vi desisderano sarebbero felici delle mie disgrazie. |
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Tart
m'esjauzira, |
pos ja·m partira bells cavalhiers, | de vos ab ira, q'ailhors nos vira | mos cors, ni·m tira mos deziriers, | q'als non dezira; q'a lauzengiers | sai q'abellira, donna, q'estiers | non lur garira: tals vira, | sentira | mos danz, | qi·lls vos grazira, qe·us mira, | cossira | cuidanz | don cors sospira. — |
Difficilmente avrei gioia, se mi separassi [come] bel Cavaliere, tristemente da voi perché altrove il mio cuore non si rivolge né mi attira il mio desiderio, ch'altro non desidera; perché so che piacerebbe ai maldicenti, signora, che diversamente non starebbero in pace: v'è chi vedrebbe, ascolterebbe le mie disgrazie di cui gradirebbe, colui che guarda, vi pensae spera, sicché il cuore sospira. |
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V. Donna Beatrice siete migliore di chiunque altra, per scienza e bontà. |
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Tant
gent comensa, |
part totas gensa, na Beatritz, | e pren creissensa vostra valensa; | per ma credensa, de pretz garnitz | vostra tenensa e de bels ditz, | senes failhensa; de faitz grazitz | tenetz semensa; siensa, | sufrensa | avetz | e coneissensa; valensa | ses tensa | vistetz | ab benvolensa. — |
Così gentilmente nasce e
sopra tutti donna Beatrice, si ingentilisce e cresce, il vostro valore; nella mia opinior onorate il vostro dominio di pregio e di belle parole senza errore; di nobili fatti possedete il seme; avete scienza, pazienza e conoscenza; incontestabilmente rivestite il vostro valore di benevolenza. |
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VI. Pazzo chi non vi adora. Vi ho amata più di Erec per Enide. Ho finito l'estampie, mio "Inglese". |
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Donna
grazida, |
qecs lauz'e crida vostra valor | q'es abellida, e qi·us oblida | pauc li val vida, per q'ie·us azor, | donn'eissernida; qar per gençor | vos ai chauzida e per meilhor, | de prez complida, blandida, | servida | genses | q'Erecs Enida. Bastida, | finida, | n' Engles, | ai l'estampida. |
Dama gentile, ciascuno loda e
proclama il vostro valore che è amabile, e chi vi dimentica poco gli vale la vita, sicché io vi adoro, signora distinta; perché io vi ho scelta come la più nobile e la migliore, perfetta in pregio, e vi ho corteggiata e servita meglio di quanto Erec fece con Enide. Composta, finita, signor Inglese, ho l'estampida. |
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[trad. Costanzo Di Girolamo] |
Mancando informazioni relative al ritmo, per trascrivere le canços trobadoriche si sono adottate di volta in volta ipotesi
diverse. Ecco le soluzioni proposte il secolo scorso per Kalenda maia da
a) Hugo Riemann [1905], b) Pierre Aubry [1910], c) Friedrich Gennrich [1932],
d) Raffaello Monterosso [1964], e) Hendrick van der Werf [1984]:
La disputa circa le soluzioni ritmiche preferibili assunse accenti anche molto violenti, nel caso specifico oltre a ipotizzare l'applicazione di poco praticabili teorie derivate dalle notazione modale, va osservato che, in questo caso, essendo il modello musicale strumentale, gli ictus della melodia devono necessariamente essere regolari. Ogni strofa si rivela in effetti composta da otto frasi caratterizzate ciascuna da quattro accenti che senza difficoltà possono considerarsi equidistanti:
In questo modo non solo le otto frasi vengono scandite su un'accentuazione ritmica regolare, ma formano uno schema melodico in Barform (ααβ) perfettamente strutturato secondo questa comune successione di coblas (la ripetizione di C e D è lievemente variata):
α | α | β |
AB | AB | CC DD |
Apparentemente non c'è relazione con la forma di una estampie che è caratterizzata da un refrain (r) con terminazione aperta (vert) e
chiusa (clos) e una stanza sempre diversa (ABC...). Schema: rArBrCr etc. È probabile che la forma originale dell'estampie sia stata manomessa per adattarla alle esigenze di una canso (è probabile che i versi 7-8, così frammentati, fossero l'originario ritornello).
L'organizzazione della rima doppia (qui distinta in verde e rosso)
è estremamente regolare in tutte le sei strofe: se contiamo i versi in
relazione alla frase musicale, tutti hanno una rima interna che nelle frasi A e
D riprende la rima finale, mentre in B e C adotta quella alternativa.
La razo di questa poesia racconta che Raimbaut la compose alla corte di Monferrato, ispirandosi a un'estampie eseguita sulla viola da giullari francesi di passaggio: informazione del tutto plausibile, perché il genere musicale sembra di provenienza settentrionale e perché inoltre la melodia di Raimbaut è molto simile a quella di un'estampie francese anonima, Souvent souspire. A un più attento esame, tuttavia, si è arrivati alla conclusione opposta, e cioè che sia Souvent souspire a derivare la melodia da Kalenda maia. Questo non è nemmeno in contraddizione con la razo, dove si parla dei giullari che «violavan una stampida» e di «bel son de viola» e dove si conclude che «Aquesta estampida fu facta a las notas de la stampida qe·1 joglars fasion en las violas». L'estampie francese era infatti un genere puramente strumentale e Raimbaut potrebbe essersi semplicemente ispirato alla melodia ascoltata o averla ripresa più o meno da vicino, mentre l'anonimo autore di Souvent souspire avrebbe a sua volta imitato il trovatore: le più antiche estampies francesi di cui ci sia pervenuto il testo risalgono del resto al primo quarto del XIV secolo e si distinguono dalle estampidas provenzali (ne esistono altre cinque, posteriori a Raimbaut de Vaqueiras) per l'irregolarità dello strofismo. Si tratta senza dubbio di questioni di dettaglio, ma se la melodia di Kalenda maia potesse essere considerata originale, cioè creata su misura per il testo pur ricalcando un genere musicale poco noto nel Sud o ricalcando un unico esemplare di esso, la poesia di Raimbaut sarebbe da ricondurre interamente al genere cortese della canzone, che richiede appunto una melodia originale, rappresentando all'interno di questo genere una considerevole innovazione per ciò che riguarda la melodia.
Kalenda maia è in realtà uno dei pochi casi in cui siamo in grado di apprezzare la stretta connessione tra musica e parole, che per tanta altra parte del corpus dei trovatori ci sfugge o è offuscata dai problemi dell'interpretazione ritmica. Una connessione, qui, che risalta con evidenza dal ritmo martellante che coincide con gli ictus di versi brevissimi, in un testo dotato di una densità di rime (venti per stanza, in media una ogni tre sillabe e mezza) pressoché unica nella storia della poesia e che sarà superata solo dai virtuosismi di Cerveri de Girona. Questa fittissima testura fonica è la ragione che solitamente si adduce a giustificazione della scarsa coesione semantica dell'estampida, o meglio della sua difficoltà di resa in una prosa logica e sintatticamente ordinata. Questo è in parte vero, come è anche vero che è la poesia dei trovatori nel suo complesso che resiste con forza a trasposizioni poetiche o anche a decorose restituzioni prosastiche nelle lingue moderne. Una possibile spiegazione va cercata forse proprio nell'indissociabilità del testo dal canto: false ipotassi, come ad esempio le frasi introdotte da car, que o per que, violenti anacoluti, incisi, se costituiscono una sfida a qualsiasi traduzione rispettosa dell'originale, trovano una loro logica se ricondotti alla frase musicale che soggiace al verso, che con la sua ricorrenza da stanza a stanza restituisce un ordine e un equilibrio alla sintassi mascherando anche, in qualche modo, riempitivi di ogni genere, presenti anche nei poeti più attenti allo stile; e non si insisterà mai troppo sull'innaturalità di 'leggere' questa poesia, di assaporarla come 'letteratura', muta del canto. Tali considerazioni valgono tanto più per Kalenda maia, che esibisce un disegno melodico e metrico densissimo su una base sintattica convulsa e necessariamente senza fiato; d'altra parte, se si sorvola sulla difficoltà di rendere plausibilmente il testo punto per punto, il suo significato complessivo è abbastanza chiaro.
L'estampida di Raimbaut può essere intesa come uno degli ultimi attacchi frontali, non senza vene di ironia, alla nozione di fin'amor, dopo le polemiche divampate nei decenni precedenti; un attacco mescolato con ingredienti di maniera, e che nelle stanze finali slitta verso il panegirico di un'altra dama, Beatrice, la figlia del marchese di Monferrato. Già l'apertura, che è la negazione dell'esordio primaverile (non mi piace né la calenda di maggio né altro finché...), potrebbe ricordare l'altro Raimbaut, in particolare quello di Non chant, senonché qui il possesso e la soddisfazione amorosa sono soltanto immaginati e fantasticati con l'allusione al messaggero che porterà il messaggio della buona disposizione dell'amata; ma il sogno è subito interrotto dall'ostile presenza del gilos, che occupa nella prima e nella seconda stanza uno spazio inconsueto e contro il quale vengono lanciate minacce e maledizioni; pari enfasi è attribuita nella quarta stanza ai lauzengiers. Nella loro apparente comicità, i vv. 41-44 ripropongono il paradosso della fin'amor in termini che ricordano le ormai lontane parodie di Guglielmo IX sull'amore per dame mai viste e l'insofferenza, talora tragica talora parodica, di Raimbaut d'Aurenga per la condizione dell'amante cortese; e forse proprio al Raimbaut della flors enversa (Qu'ar en baisan no·us enverse...) rimandano i vv. 53-55 (que nuda | tenguda | no·us ai, | ni d'als vencuda), tra i più espliciti e forse anche tra i più ingenui mai scritti da un trovatore sull'amore. Dopo un secolo di lirica erotica Raimbaut de Vaqueiras arrivava alla conclusione disarmante che drutz ni druda | non es per cuda, quasi sorridendo del cuidar come principale attività dello spirito su cui insisteva fino alla noia il riflessivo Giraut de Bornelh. Il parodico e il tragico dei suoi predecessori si trasformano qui in un'ironia sottile, nel prendere alla lettera una teoria del comportamento e nel riconoscerla intraducibile nella realtà, nel riconoscerla cioè come un mito letterario.