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Nella storia dell'arte musicale, il xvi secolo rappresenta un'epoca privilegiata: fattori politici e intellettuali, economici e sociali, si uniscono per produrre un rinnovamento quasi totale del pensiero e delle tecniche. La scoperta e lo sviluppo della stampa musicale, la magnificenza delle feste principesche, l'azione dei mecenati, l'importanza dei viaggi e degli scambi su scala europea, l'influenza del pensiero antico, sono altrettanti elementi che favoriscono la creazione artistica, la sua diffusione, il suo rinnovamento e il suo nuovo orientamento.
Se la musica riveste, al tempo del Rinascimento, un ruolo molto diverso da quello di oggi, la ragione è da ricercare nel fatto che essa è intimamente legata all'esercizio del potere e alla vita di corte. Comprendere i grandi orientamenti della produzione musicale del xvi secolo, significa conoscere le strutture politiche e sociali nelle quali si esercita la sua azione; vuol dire prendere coscienza dello statuto sociale del musicista, è capire i rapporti che uniscono l'artista con il suo datore di lavoro, principe, Chiesa, stato; infine è dare il giusto posto al mecenate e riconoscere che, se egli utilizza e sostiene l'arte, tuttavia non la genera [...]
Come nel secolo precedente, i giovani musicisti del Rinascimento ricevono la parte più importante della loro formazione nelle cantorie [maîtrise]. Scuole di musica dell'ancien régime, le cantorie annesse al servizio delle chiese più importanti, reclutavano per concorso i giovani coristi, che trasformavano in musicisti compiuti. Le cantorie sono numerose in Europa, e assicurano ai loro cantori un minimo di istruzione generale, unitamente ad una solida preparazione artistica. Oltre allo studio vocale e al suo repertorio, il giovane musicista è spesso iniziato a una tecnica strumentale e, se il suo talento è confermato viene iniziato dai maestri ai primi rudimenti della composizione. A seconda delle offerte e delle possibilità che gli si presenteranno, egli sarà cantore, organista, musicista di chiesa o di corte.
A quest'epoca regna una grande disparità di situazioni nella condizione dell'artista. Il musicista di chiesa è prima di tutto un organista; egli è chiamato tuttavia a comporre la maggior parte del suo repertorio. Le chiese provviste di una cantoria sono importanti datori di lavoro, specie se mantengono anche un gruppo di strumentisti. Alla loro direzione vi è il maestro di cappella, che cumula spesso le funzioni di organista, compositore, direttore del coro. Egli assicura il reclutamento dei cantori, la loro formazione e la gestione del repertorio. È un incarico pesante, che lascia al musicista poco respiro, ma gli assicura in genere la notorietà locale.
Ma «senza denaro, l'onore non è che una malattia» (come dice il poeta), e bisogna ammettere che i salari dei musicisti di chiesa (tra i più bassi delle categorie lavoratrici in Italia) sono raramente degni della loro competenza e attività. Al loro confronto i musicisti di corte sono dei privilegiati. Il loro salario è generalmente più elevato e la loro funzione più varia di quella dei musicisti di chiesa. Infatti alla direzione della cappella, reale o principesca, si aggiunge la partecipazione ai divertimenti della corte, per i quali la produzione deve seguire il ritmo della richiesta.
Il ruolo di questi principi che mantengono dei musicisti alla propria corte varia notevolmente a seconda dei paesi. In Francia, in Inghilterra e in Spagna, la centralizzazione del potere impoverisce la concorrenza artistica limitando l'arte aristocratica a quella della corte del re. La situazione è molto diversa in Italia e nei paesi tedeschi; questi paesi, divisi in numerosi piccoli stati rivali, rappresentano un enorme potenziale di sviluppo artistico. Infatti non è solo nel campo militare che i principi cercano di affermare la loro superiorità, ma anche in quello culturale; la rinomanza e lo splendore della loro corte, esattamente come il valore del loro esercito, guadagnano loro la stima e l'invidia dei paesi vicini. Per questo i principi divengono dei mecenati: non necessariamente per vocazione, ma per ambizione e per orgoglio.
Tuttavia alcune famiglie, alcune personalità, hanno lasciato il segno di un gusto sicuro, di un autentico amore per l'arte, di un reale rispetto per gli artisti che contribuirono alla loro grandezza. I Medici a Firenze, gli Estense a Ferrara, gli Sforza a Milano, e i duchi di Baviera e di Sassonia vanno ricordati per essere stati veri mecenati nello spirito. Altri, spesso nelle stesse famiglie, si segnalarono al contrario per le loro meschinità, per la sete di grandezza unita a un totale disconoscimento del genio di coloro che li servivano, e per la loro reticenza a onorare, attraverso salari decenti e regolarmene versati, il contratto che li legava ai loro artisti. Non mancano le commoventi testimonianze di musicisti che reclamano un salario in ritardo da diversi mesi, e ci rammentano che il principe, anche se veramente interessato all'arte, vede nell'artista solo un mezzo per far valere la propria magnificenza. Questo divario tra la posizione sociale dell'artista e il suo posto nella storia della composizione ci appare oggi sorprendente e ci colpisce negativamente. Tuttavia gli artisti del xvi secolo, lottano quotidianamente per conservare l'impiego, per veder riconosciuti i loro servizi, e non pensano minimamente a contestare il loro status di servitori. Solo alla fine del xviii secolo i rapporti gerarchici che uniscono l'artista al suo datore di lavoro verranno modificati. Fino a quel momento, si vedrà sempre il musicista rispondere con sollecitudine alle molteplici esigenze del suo signore. L'ufficio religioso quotidiano o la solenne cerimonia che accompagna l'entrata del re in città, saranno per lui la fonte feconda di una creazione sempre rinnovata.
Tra gli aspetti profani della richiesta di musica, durante il Rinascimento, sono le feste ad occupare un posto preponderante. Tutti gli stati celebrano con feste sontuose gli avvenimenti della vita di corte: matrimoni, ingresso del re in città, anniversario o nascita di un fanciullo reale sono altrettanti pretesti per l'organizzazione di fastosi spettacoli. Le feste del Rinascimento sono il momento in cui il popolo può giudicare della magnificenza del suo principe, e in cui l'arte, normalmente aristocratica, lascia le mura del palazzo per scendere nelle strade e offrirsi a tutti.
Mascherate e sfilate di carri, diffusissime in Italia, penetrano a poco a poco anche in Francia, con tutto il loro apparato visuale, letterario e musicale. Presente ovunque con il canto, la danza e la sinfonia strumentale, la musica simboleggia di volta in volta l'armonia terrestre, riflesso di quella celeste, o la grandezza regale, riflesso di quella divina. Il suo splendore si unisce a quello delle decorazioni e dei costumi per affermare la potenza della personalità principesca, spesso idealizzata attraverso il mito nelle figure di Marte, Ercole o Giove. Ogni anno reca il suo contributo di feste alla creazione musicale, e l'edonismo dell'epoca, che emerge in queste occasioni, ispira al musicista una fiducia e un entusiasmo caratteristici. È in questa cornice, ricca malgrado le sue costrizioni e stimolante malgrado la condizione di servitù, che il musicista del xvi secolo partecipa, con gli altri artisti, al rinnovamento intellettuale del suo tempo.
La musica di chiesa [...] si apre poco a poco alle influenze esterne e riceve dalla musica profana, il cui sviluppo è senza precedenti, un soffio di giovinezza che si traduce nel rinnovamento delle tecniche di scrittura e nella creazione di un'arte espressiva e meno strettamente intellettuale. È in questo aspetto profano delle loro opere, cioè la canzone polifonica in Francia e il madrigale in Italia, che i musicisti manifestano in particolare la loro simpatia verso il movimento umanista e si associano all'ideale poetico.
Nel corso degli anni la scrittura polifonica si modifica in funzione delle esigenze nate da questa collaborazione. I musicisti sono invitati a esplorare in modo diverso le ricchezze del testo letterario fino allora misconosciuto. [...]
Per Josquin e i suoi contemporanei è, nel suo primo quarto, il completamento sontuoso dei ritrovati contrappuntistici dei secoli precedenti, adorni di tutta l'eleganza delle linee vocali secondo la moda italiana. Per l'immensità della sua produzione, profana e religiosa, vocale e strumentale, per l'entusiasmo che anima gli spiriti, per l'ideale umanistico che unisce gli autori, il xvi secolo è un'entità unica, l'era di un vero Rinascimento. [...] Se il xvii secolo abbandona quasi completamente la polifonia a cappella a vantaggio della melodia accompagnata, esso è debitore al xvi secolo per la ricchezza della polifonia strumentale, basata sugli elementi mutuati dal contrappunto vocale.
La messa a punto del procedimento di stampa per la musica è un avvenimento importante dei primissimi anni del secolo. Ottaviano Petrucci pubblica infatti a Venezia, nel 1501, la prima collezione di musica polifonica stampata, destinata a voci e strumenti: Harmonices musices Odhecaton. Questa raccolta, di capitale importanza, sia per il significato simbolico che per il contenuto, comprende 96 composizioni della fine del XV secolo.
Per dieci anni Petrucci conserva l'esclusività dell'edizione musicale; accogliendo tutte le forme della composizione (profana e religiosa, vocale e strumentale), egli concepisce ampie raccolte di canzoni polifoniche, frottole, messe e intavolature per liuto. Riflesso di un'epoca, ma anche di un gusto nuovo, questa produzione dimostra nettamente la brillante rinomanza dei musicisti fiamminghi in Italia, e il precoce interesse dei musicisti italiani per la musica strumentale.
Dopo il 1510 vengono aperte in Europa altre stamperie musicali: a Roma, Antico e Giunta; a Magonza Schöffer; ad Augusta Oglin. La diffusione della musica, che era stata sempre molto attiva grazie alla tradizione manoscritta, viene decuplicata dalla moltiplicazione delle raccolte stampate. La stampa musicale favorisce gli scambi di cantori e maestri di cappella tra i vari paesi. L'Italia, sogno di tanti artisti, focolare spirituale di tanti musicisti del nord [...] è portatrice in Europa di una nuova concezione dell'arte e dell'espressività.
In Francia la stampa musicale fa la sua apparizione nel 1528 con Pierre Attaingnant, che sarà a lungo il solo rappresentante della categoria. Come Petrucci, egli si interessa a tutti i generi e pubblica preziose antologie di musica vocale e strumentale. I suoi libri, circa 150, offrono una selezione inestimabile di canzoni, mottetti, danze strumentali, opere in maggioranza di musicisti francesi (parigini e provinciali). [...] Attaingnant aveva fatto conoscere all'Europa il genio di Clément Janequin e di Claudin de Sermisy [...]
A partire dal 1535 circa, la stampa musicale si diffonde in tutta Europa. Ad Anversa Tylman Susato, a Norimberga Petreius e Grapheus, a Francoforte Egelnoff, rivaleggiano in attività e ingegnosità per diffondere le composizioni dei loro compatrioti. Sono questi gli uomini del Rinascimento: curiosi fino all'avidità, intraprendenti fino all'audacia, fiduciosi nelle loro capacità e entusiasti nei confronti del loro secolo.