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Sumite Karissimi di Antonio Zacara da Teramo (1413) è un brano che gode di un posto privilegiato nella storia della musica, almeno da quando Apel lo definì:
È certamente un lavoro molto ardito; se lo sia in assoluto è impossibile dirlo: la partitura, mostrandosi a prima vista fra le più spregiudicate nell'uso alternato di note nere, rosse e bianche, appare ai ff. 11v e 12r del Codice di Modena, il manoscritto che raccoglie le più complicate soluzioni di ars subtilior.
Ecco le pagine che accolgono il brano:
Il cantus (il doppio testo delle prime righe lo colloca fra le ballades, un genere poco praticato da Zaccaria), è seguito dal tenor e dal contratenor che termina nella pagina successiva (immagine a fianco).
Il brano fu editato la prima volta nel 1904 da Wolf in quella che fu la prima storia della notazione mensurale, e subito postillato da Ludwig in un'ampia recensione al volume:
Anche Apel lo prese in considerazione nel suo lavoro sulla notazione e anni dopo lo pubblicò in una raccolta di musica francese di quegli anni:
In seguito uscirono altre due edizioni, la prima delle quali dedicata alle composizioni che all'epoca si ritenvano di Zaccaria:
Ha goduto inoltre di studi specifici:
E di tre incisioni:
Si ottengono, come da schema, tutte le possibili scansioni della notazione italiana duodenaria (bianca caudata), novenaria (rossa caudata), ottonaria (minima bianca), senaria perfetta (minima rossa), senaria imperfetta (minima nera), quaternaria (semibreve bianca) potendo tuttavia combinarle fra loro, senza essere obbligati a usare un'unica scansione per l'intero brano.
Se queste indicazioni possono essere sufficienti per trascrivere tenor e contratenor, non è così per il cantus, che presenta un uso molto artificioso della scansione delle brevi. Queste, seppur ritmicamente uniformi al loro interno, sono interrotte spesso dall'inserzione di altri moduli di breve con notazione d'altro colore. Il frammento offre un esempio:
Se si raggruppano le notazioni simili, si osserva che queste completano sempre una breve per un totale di sette. Tenendo a mente questo principio è possibile sezionare l'intero brano usando come unità la breve, sebbene possa capitare di dover innestare un modulo ritmico all'interno di un altro (qui evidenziati da rettangoli blu). Spesso, come nell'esempio, il punctum divisionis serve solo per isolare le minime, in modo che non le si consideri un gruppo unitario di semibreve con la seconda alterata.
Un primo approccio alla partitura (v. immagine) permette di capire che il brano è in tempus imperfetto e prolatio perfetta (si notino i raggruppamenti di 6 minime e la prevalenza di gruppi binari di semibrevi). L'uso delle note rosse appare canonico: tre semibrevi rosse stanno a due nere (lo si rileva dalla presenza quasi esclusiva di semibrevi rosse in gruppi di tre). Le note bianche appaiono più spesso in gruppi di 8 minime (ipotizzando le semibrevi imperfette): anche in questo caso nulla di insolito: si tratta di una riconversione all'imperfezione delle note rosse, in altre parole le semibrevi bianche durano la metà delle brevi. Infine le minime caudate, rosse in numero di 9 e le bianche di 6 permettono di ipotizzare lo schema a fianco.
Su queste basi è ora possibile individuare i raggruppamenti di breve del cantus come indicato qui sotto (il modulo evidenziato in verde si ripete identico ed è suddiviso solo la seconda volta, dove non patisce il salto-riga):
La trascrizione, ora apparentemente automatica, in realtà pone dei problemi nel gestire la combinazione con le note bianche. Alcune soluzioni ritmiche appaiono del tutto innaturali con la moderna notazione. Nell'esempio che segue (inizio del brano) il rigo superiore segue le tre trascrizioni pubblicate (con qualche rettifica), per mostrare come la moderna scrittura non sia adatta (v. in part. mis. 5) a restituire alcune sincopazioni dell'art subtilior. Il secondo rigo propone un'alternativa che semplifica lo sfasamento ritmico per restituire all'occhio il senso del passo.
Quella del secondo rigo dovrebbe essere la soluzione da adottare sempre nelle moderne trascrizioni. L'imprecisione mensurale, di fatto inifluente, potrebbe essere compensata, come s'è fatto qui, dall'aggiunta della notazione originale dove la scrittura moderna non rende il senso di quella antica (la mancanza del colore rosso può essere sostituita, come nell'esempio, da una soprasegnatura). Ecco quindi il brano.