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La memoria del mistero di Cristo si manifesta in un complesso di riti che abbraccia un intero anno. I giorni espressamente dedicati alla sua celebrazione impegnano due periodi principali legati l'uno alla Pasqua e l'altro al Natale che prendono complessivamente il nome di Ciclo del tempo o Temporale (nei libri liturgici il periodo è detto proprium de tempore), indicando tutto il resto dell'anno come 'tempo ordinario'.
Fulcro del Temporale è la Pasqua la cui data è mobile e cade dopo l'equinozio di Primavera, la prima domenica successiva alla luna piena. Poiché l'equinozio è indicativamente fissato al 21 marzo, la Pasqua si colloca fra il 22 marzo e il 25 aprile. L'attesa della Pasqua, che comincia con il Mercoledì delle ceneri, è di 40 giorni e prende il nome di Quaresima (da quadragesima) a cui si aggiunsero le tre domeniche precedenti chiamate conseguentemente Quinquagesima, Sessagesima e Settuagesima (oggi trascurate). Il Tempo pasquale dura invece 50 giorni e si conclude con l'ottava di Pentecoste.
Il Natale cade sempre il 25 dicembre, giorno del solstizio d'Inverno (prima che fosse ricollocato al 22 dicembre). E' preceduto da 4 domeniche d'Avvento e prosegue fino all'ottava dell'Epifania.
La figura/1 e la figura/2 mostrano l'intero anno con i due casi estremi in cui può cadere la Pasqua 22 marzo o 25 aprile e l'indicazione di tutte le altre feste principali, strettamente legate alle stagioni (figura/3).
Le altre feste che appartengono al Temporale ma si collocano fuori dal periodo indicato sono, oltre a tutte le domeniche, il Corpus Domini, il giovedì dell'ottava di Trinità (o I di Pentecoste) e il Sacro Cuore di Gesù, il venerdì della II ottava di Pentecoste.
Le celebrazioni dei vari santi, fisse e vincolate al giorno dell'anno, prendono il nome di ciclo agiografico o Santorale. I libri liturgici distinguono fra un proprium sanctorum, i cui canti sono legati al singolo santo (o eventualmente due come per i Ss. Pietro e Paolo), e commune sanctorum quando il canto rimanda genericamente al tipo di santo (martire, dottore, vergine, etc.).
S'individua poi un terzo gruppo di festività dedicate alla Madonna che prende il nome di ciclo mariano.
[ ] l'espressione "circulus anni", che troviamo nel titolo dei due più antichi sacramentari romani, il Gelasiano e il Gregoriano adrianeo, non presuppone la nostra attuale nozione di anno liturgico. [ ]
Il giorno di Pasqua Un lezionario gallicano, il
cui contenuto è del 500 circa, testimonia un anno ecclesiastico che
inizia il giorno di Pasqua e termina il sabato prima di Pasqua. Tracce di una
simile delimitazione dell'anno liturgico si trovano in san Zeno di Verona, in
una serie di sermoni brevi sul giorno di Pasqua, e in sant'Agostino che chiama
la settimana santa «ultima settimana dell'anno» [In Iohannis Evangelium xiii,
13.14].
Il fondamento di questo modo di concepire l'anno ecclesiastico,
sicuramente antico, è che la risurrezione di Cristo costituisce un nuovo
inizio; in particolare, si trova più volte l'idea che il Cristo è
risorto lo stesso giorno in cui fu creato il mondo; la risurrezione di Cristo
segna l'inizio di una creazione messa a nuovo. In modo simile si esprime, ad
esempio, Leone Magno: «Nunc ad praenuntiatum festis omnibus festum sacer
novorum mensis enituit, ut in quo accepit mundus exordium, in eodem haberet
christiana creatura principium» [De passione Domini serino
9,3].
Primo marzo Se è vero che nessuno dei libri
liturgici conservati presenta il primo marzo come inizio dell'anno, abbiamo
però un certo numero di elementi che vanno in questo senso. [
]
Nelle Gallie, abbiamo un testo di Sidonio Apollinare,
dell'anno 481 circa, in cui il vescovo indica febbraio come il mese duodecimo
[Epistolarum liber IX, 16].
Sappiamo che inizialmente l'anno civile
romano cominciava il primo marzo. Comunque nel 153 a.C., per la prima volta i
nuovi consoli sono stati insediati il primo gennaio e, quindi, da questo
momento è già il primo gennaio l'inizio ufficiale dell'anno a
Roma. Perciò, contrariamente a quanto affermano alcuni liturgisti, il
primo marzo non è stato preso come inizio dell'anno ecclesiastico in
conformità con l'anno civile dato che esso ormai da lungo tempo iniziava
a gennaio. Anzi, è vero il contrario: dato che il primo gennaio era
celebrato a Roma in modo esuberante e con ogni sorta di pratiche pagane contro
le quali la Chiesa reagiva con decisione, è stato scelto deliberatamente
un inizio significativo diverso.
Non c'è dubbio che nella scelta del
mese di marzo bisogna attribuire importanza decisiva a quanto prescrive la
Bibbia sulla data della celebrazione della Pasqua giudaica: «Nel primo
mese...» (Es 12,18). Si tratta del primo mese del calendario sacerdotale
giudaico, che era un calendario lunare con inizio nel mese di Nisan, mese
dell'equinozio di primavera. Abbiamo, infatti, una serie di testi cristiani che
affermano che la celebrazione della Pasqua cristiana ha luogo nel «primo
mese» [Tertulliano, De ieiunio 14, 2; Ambrogio, Epistola 23].
Settuagesima [ ] Una volta che il digiuno quaresimale comprende 40 giorni, il primo marzo si trova all'interno del periodo preparatorio alla Pasqua. Conseguentemente, viene spostato l'inizio dell'anno ecclesiastico alle domeniche di Quaresima, di quinquagesima o di settuagesima. Una testimonianza per tutte: il Sacramentario di Salzbourg, composto nell'800 circa, inizia con la settuagesima.
Il giorno di Natale Finalmente, a partire dal secolo vi,
si impone pian piano e fino ai secoli viii-ix, un nuovo inizio dell'anno
liturgico: Natale. All'inizio del IV secolo, Natale ed Epifania erano integrate
nel santorale. Cristo
era considerato il primo dei martiri e il suo anniversario era in testa alla Depositio martyrum del cronografo romano del 354. Questo punto di vista
è confermato da sant'Agostino [Epistola 55,2] che nell'anno 400
circa fa una netta distinzione tra Natale e Pasqua. Invece, più tardi,
san Leone Magno [In Nativitate Domini sermo 6, 2] parla del Natale come
dei «sacra primordia» (i sacri inizi) della salvezza.
D'ora in
poi, Natale ed Epifania cominciano a essere considerati parte del temporale. E quindi
normale che poco a poco Natale sia considerato di fatto i «sacra
primordia» della struttura dell'anno liturgico. Così lo troviamo
già nel Gelasiano, secolo VII, che distingue il santorale dal
temporale, il quale inizia appunto con la vigilia di Natale.
Prima domenica d'Avvento Più tardi, nei secoli viii-ix, quando l'Avvento è diventato un'istituzione stabile e generale, Roma anticipa l'inizio dell'anno ecclesiastico alla prima domenica di Avvento. [ ]
La componente tempo è particolarmente rilevante nella
celebrazione del mistero di Cristo nell'anno liturgico. Infatti, per il
cristiano il tempo è la categoria entro cui si attua la salvezza. Ecco
il motivo per cui nel corso dell'anno la Chiesa distribuisce tutto il mistero
di Cristo dall'incarnazione e dalla natività fino all'Ascensione, al
giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del
Signore. [
]
Quindi nella fragilità del tempo che sfugge, il
tempo nella celebrazione liturgica assume il valore di kairos, di spazio
della salvezza: «Dopo la gloriosa ascensione di Cristo al cielo, l'opera
della salvezza continua attraverso la celebrazione della liturgia, la quale,
non senza motivo, è ritenuta momento ultimo della storia della
salvezza» [Collectio Missarum de Beata Maria Virgine, editio
typica 1987, Praenotanda 11].
La celebrazione dei singoli misteri di
Cristo, lungo lo svolgersi dell'anno liturgico, non deve essere interpretata
come una riproduzione drammatica della vita terrena di Cristo. Difatti in ogni
celebrazione, apparentemente parziale, viene sempre celebrata l'eucaristia in
cui avviene il tutto e quindi il mistero è sempre completo, il tutto
è sempre in ogni frammento. [
]
La festa ha un carattere collettivo. Nessuno fa festa in solitudine. La festa allaccia rapporti collettivi con i partecipanti e tende a coinvolgere tutti gli altri. Essa risponde al desiderio di riunirsi, che è naturale nell'uomo, ma che la dispersione del quotidiano accresce maggiormente in lui. La festa è, infatti, una rottura con il quotidiano perché situata in un tempo che si distingue dalla vita di tutti i giorni. La festa però diviene, nella sua caratteristica di diversità, l'espressione dell'uomo che ama il quotidiano, non lo rifiuta, ma lo vuol rendere sempre più fecondo. La festa è creatività, iniziativa, libertà intensa; ma è anche rito prestabilito, liturgia da ripetere. La gioia presente in ogni celebrazione festiva non è esente da una certa malinconia, da una dolce e delicata tristezza: rimangono sempre i ricordi inquietanti e le ansie che angustiano. La festa possiede poi una spinta liberante, è l'uscita dall'ordine consueto, l'emancipazione dalle soffocanti catene quotidiane, è sosta improduttiva, pace contemplativa, ozio che arricchisce. Infine, la festa permette all'uomo di dedicarsi a ciò che gli è essenziale.
[ ] L'oggetto specifico della festa cristiana lo si ritrova nell'eucaristia, in diretto riferimento alla Pasqua di Cristo. Con il comando: "Fate questo in memoria di me" (1Cor 11,24), Cristo ha posto sulla linea del tempo la sua Pasqua, inserendo così nella storia umana la realtà della salvezza. Nella Pasqua di Cristo tutto si è compiuto, ma per un altro verso tutto si deve compiere, e cioè l'azione salvifica di Dio in Cristo deve compiersi, in modo storicosacramentale, in noi, nel tempo della Chiesa. La centralità dell'eucaristia dà verità e fecondità al senso pasquale delle diverse festività dell'anno liturgico. Dopo quanto detto sopra, però, è evidente che la festa cristiana non coincide in tutto con la celebrazione; oltrepassa il momento rituale-sacramentale per inserirsi nel tessuto della vita.
La celebrazione del mistero pasquale [ ] viene compiuta fin da principio settimanalmente nel giorno chiamato domenica. Le testimonianze più antiche sull'esistenza della domenica, come giorno specifico di culto risalgono al tempo neotestamentario. Si tratta di 1Cor 16,2; At 20,7-11; Ap 1,9-10. Mentre la più antica di queste testimonianze (1Cor 16,2) non conosce probabilmente una adunanza liturgica (solamente una colletta privata a domicilio): At 20 riferisce di un'adunanza in una casa privata con la proclamazione della parola e la celebrazione eucaristica. [ ] La testimonianza più antica della celebrazione della domenica a Roma ci è offerta da san Giustino nella sua Apologia I, della seconda metà del secolo II: è il giorno regolare dell'adunanza dell'assemblea con la liturgia della parola e la celebrazione dell'eucaristia. Mezzo secolo più tardi abbiamo la testimonianza della Tradizione apostolica [2-8], attribuita a Ippolito: in questo caso nella celebrazione eucaristica domenicale viene fatta l'ordinazione di un vescovo, di presbiteri e di diaconi.
Messa domenicale Nella Chiesa primitiva non vi fu un obbligo personale di partecipare alla messa domenicale. Esistono però antichissime testimonianze del fatto che singole Chiese locali compresero la necessità di riunirsi in assemblea eucaristica nel giorno domenicale in base al significato e importanza di questo giorno. Il concilio provinciale spagnolo di Elvira, celebrato nell'anno 302 circa, ordina per la prima volta [can. 21] che chi abita in una città e non va in chiesa per tre domeniche, sia scomunicato per breve tempo, affinché appaia come ammonito. Il concilio di Agde, del 506, prescrive che nelle domeniche si dove partecipare a tutta la messa [can. 47]. Durante l'età carolingia, i pronunciamenti sulla domenica aumentano di numero e sono inoltre assai più minuziosi. Così diventa costante un po' dappertutto la prassi della messa domenicale. [ ]
L'astensione dal lavoro Per quanto riguarda il riposo domenicale, è un problema che agli inizi del cristianesimo non esisteva: la domenica nel mondo greco-romano era un giorno di lavoro come gli altri; essa è sorta come giorno di culto, non come giorno di riposo. La svolta in proposito è rappresentata dalla legge costantiniana del 321, che impone il riposo nel "giorno del sole" a tutte le professioni e categorie di lavori eccetto per quelli agricoli. Dato il carattere cultuale e gioioso della celebrazione domenicale, la legge del riposo è stata generalmente ben accolta. Verso la fine del IV secolo si comincia a motivare il riposo domenicale con il precetto sabbatico. Nel secolo VI la relazione sabato-domenica è un fatto compiuto: la domenica è "il sabato cristiano", almeno per quanto riguarda il riposo. [ ]
Il primo giorno Il nome più antico dato alla domenica è quello di "primo giorno dopo il sabato". Come primo giorno rimanda innanzitutto a Gn 1, l'opera della creazione, e più precisamente alla creazione della luce; ma secondo Mc 16,2 (e paralleli) prima di tutto fa riferimento alla risurrezione di Cristo. Già Giustino [Apologia 1, 67] collega l'inizio della creazione con la risurrezione: "Ci aduniamo tutti dunque il giorno del sole, perché è il primo giorno in cui Dio, cangiate tenebre e materia, plasmò il mondo, e in cui Gesù Cristo, Salvatore nostro, risorse dai morti.
Giorno del Signore Il nome "giorno del Signore " appare
per la prima volta in Ap 1,10. Alla luce dell'espressione veterotestamentaria
"giorno di Jhwh",1'espressione giovannea è carica del senso escatologico
dell'intervento definitivo di Dio. D'altra parte, l'espressione "giorno del
Signore" richiama l'attenzione sulla formulazione parallela di "cena del
Signore" (1Cor 11,20) [
]
La parola domenica (dimanche, domingo) è un aggettivo diventato sostantivo. Deriva dal greco kuriakè, che in latino si traduce dominicus, da cui dominicus dies (= il giorno del Signore). [
]
Ottava Giustino [Dialogo con Trifone, 41, 4] richiama l'attenzione sul fatto che la domenica, giorno della risurrezione del Signore, benché sia il primo giorno della settimana, «seguendo la successione ciclica dei giorni viene a essere l'ottavo, pur restando comunque il primo». Il nome ottavo giorno è in apparenza immotivato, perché nella serie settimanale l'ottavo giorno coincide con il primo, è il primo; e tuttavia, ragionando in chiave escatologica, l'ottavo giorno allude anche a una realtà nuova. Nell'idea dell'ottavo giorno sembrano confluire, integrandosi, la concezione greca del tempo che è ciclica e quella ebraica, per cui il tempo scorre in avanti e trova il suo senso e il suo approdo nel Signore. L'ottavo giorno evoca l'inizio degli ultimi tempi e l'inaugurazione della nuova creazione.
Trinità Dalla seconda metà del IX secolo, la domenica fu considerata il "giorno della Trinità". Divenne possibile e consueto celebrare alla domenica anche una messa votiva della Santissima Trinità. A Roma questa tendenza si è manifestata più tardi. Bernoldo di Costanza ( 1100) attesta che si usava spesso alla domenica il prefazio della Trinità [Micrologus, 60]. Quest'uso diventa generale nel XIII secolo. Però il prefazio viene prescritto da Roma per tutte le domeniche del tempo non legate a festività, incluso l'Avvento, solo nella seconda metà del XVIII secolo.
Pasqua settimanale La Sacrosanctum concilium afferma che la domenica è "la festa primordiale". E aggiunge che, seguendo la tradizione apostolica, «la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente "giorno del Signore"» (n. 106). La domenica è infatti il giorno dell'«assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all'eucaristia». Viene ricuperato in questo modo il senso classico della domenica come Pasqua settimanale e la sua centralità in rapporto alle altre festività dell'anno liturgico.
Il culto cristiano, come quello ebraico, parte dalla Pasqua. Tutto è stato visto da questo centro sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento. Le testimonianze sulla celebrazione della Pasqua ebraica le troviamo in Es 12 e Dt 16. Nel Nuovo Testamento, i vangeli sinottici vedono il compimento dell'antica Pasqua nella nuova nel momento dell'ultima cena. Gesù istituisce l'eucaristia come cena pasquale della nuova alleanza (cfr. Mt 26,17-29; Mc 14,12-25; Le 22,7-20). Per Giovanni, invece, la nuova Pasqua nasce sul calvario dove Gesù è immolato come agnello pasquale e precisamente nel giorno e nell'ora in cui nel tempio si immolavano gli agnelli per essere consumati nella cena pasquale (cfr. Gv 18,28; 19,14.31.42). Questa è l'"ora" di Gesù che Giovanni ha preparato con tutto il racconto del suo vangelo. La prospettiva sinottica e quella giovannea non sono contrapposte, ma convergenti: il racconto della cena nei vangeli sinottici costituisce la teologia profetica della croce, mentre dietro il racconto della passione in Gioi vanni sta la cena eucaristica (cfr. Gv 6). [ ]
La Pasqua unico mistero Nel primo periodo della Chiesa la Pasqua è stata il centro unico della predicazíone, della celebrazione e della vita cristiana. Il culto della Chiesa nasce dalla Pasqua e per celebrare la Pasqua. [ ] La Chiesa primitiva non celebra i" misteri " di Cristo, ma il "mistero", ossia la Pasqua. [ ]
Triduo [La Pasqua] era celebrata con la solenne "veglia", considerata sotto l'aspetto del passaggio di Cristo dalla morte alla risurrezione. Attorno a questo nucleo primitivo si va formando il "triduo sacro" che celebra la morte di Cristo (venerdì santo), la sua sepoltura (sabato santo) e la sua risurrezione (domenica con la grande veglia). Si tratta sempre della Pasqua celebrata in tre giorni.
Pentecoste La solennità pasquale si va poi prolungando in una festa di cinquanta giorni, la "Pentecoste", con una forte sottolineatura della venuta gloriosa del Signore (= parusia), ritenuta imminente.
Settimana santa Fino al IV secolo rimane la visione globale e unitaria del mistero pasquale con la sua forte concentrazione sul "Cristo crocifisso, sepolto e risorto" [Agostino, Epistola 55, 14]. In seguito, soprattutto per l'influsso della comunità di Gerusalemme, incomincia a prevalere il criterio della storicizzazione, motivata dal desiderio di contemplare e rivivere i singoli momenti della passione-morte-risurrezione. Ciò era particolarmente sentito e reso possibile da coloro che vivevano nei luoghi stessi della vita e della passione del Signore. Nasce così la "settimana santa", testimoniata per prima volta da Egeria, alla fine del IV secolo.
Veglia Un altro elemento che ha contribuito ad allargare il prima e il dopo della celebrazione del triduo sacro, è stato la celebrazione del battesimo nella veglia pasquale. A questo fatto, che troviamo già agli inizi del III secolo, come attesta Tertulliano [De baptismo 19, 1], si deve aggiungere la messa per la "riconciliazione dei penitenti" la mattina del giovedì santo, che a Roma veniva celebrata fin dal V secolo.
Quaresima In stretta connessione con la celebrazione del battesimo nella veglia pasquale e la riconciliazione dei penitenti prima del triduo sacro, si forma la "Quaresima", che assume il carattere di preparazione alla Pasqua sia per i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell'iniziazione cristiana, sia per i fedeli, mediante il ricordo del battesimo e l'esercizio della penitenza.
Sempre nel IV secolo, nel tentativo di soppiantare la festa pagana del Natalis solis invicti e, a seguito delle controversie cristologiche, per affermare la fede nel mistero dell'incarnazione, è nata la celebrazione del Natale. Inizialmente Natale (in Occidente) ed Epifania (in Oriente) costituivano una celebrazione che aveva un unico e identico oggetto: l'incarnazione del Verbo, anche se con diversità di toni. Il contenuto delle due festività s'è evoluto per il fatto che, nel corso del V secolo, esse sono state accolte nella maggioranza delle chiese. Quindi ognuna delle due festività si presenta con un proprio contenuto.
Avvento L' "Avvento", come preparazione al Natale è proprio dell'Occidente. Sulle sue origini le notizie sono scarse. Occorre distinguere un primo momento in Gallia e in Spagna (sul finire del IV secolo) con elementi riguardanti pratiche ascetiche, e un secondo momento a Roma (nella seconda metà del VI secolo) di carattere propriamente liturgico.
Il resto dell'anno liturgico ha ricevuto nella storia diversi nomi. Oggi viene chiamato "tempo ordinario". Abbiamo quindi il ciclo pasquale, quello natalizio e il tempo ordinario, che formano ciò che viene chiamato il "temporale", le cui festività, eccetto quelle natalizie, sono mobili e dipendono dalla data della Pasqua.
Ciclo agiografico Invece le festività fisse sono legate a un determinato giorno dell'anno solare, senza alcun rapporto con la luna. Esse sono quindi indipendenti anche dalla Pasqua. Costituiscono il ciclo detto "santorale": d'un vero culto dei martiri nella comunità cristiana possediamo qualche attestazione isolata a partire dalla seconda metà del II secolo, con testimonianze sempre più esplicite e frequenti dalla metà del III secolo in poi.
Ciclo mariano Per quanto riguarda il culto di Maria, si è d'accordo nell'affermare che la proclamazione del dogma della Maternità divina di Maria a Efeso, nel 431, diede un notevole impulso allo sviluppo del culto mariano sia in Oriente che in Occidente. [ ]
Il formarsi e svilupparsi dell'anno liturgico è fondamentale per capire il sistema delle letture bibliche. Al principio si leggevano direttamente dalla Bibbia le letture per la celebrazione liturgica, in modo più o meno continuo. In seguito, questo sistema primitivo della lettura continua subirà delle interruzioni: le letture profetiche o veterotestamentarie, apostoliche ed evangeliche vengono adattate ai diversi cicli e ricorrenze festive. Si viene così a formare, accanto al lezionario per così dire continuo e domenicale, un altro lezionario ideologico e tematico. Esiste quindi una lettura continua annuale interrotta dalla letturaa continua propria di ogni ciclo (Natale e Pasqua). I padri segnalano anche i maggiori periodi e le rispettive letture continue dentro di essi: Genesi in Quaresima (sant'Ambrogio); Giona e Giobbe nella settimana santa (idem); le quattro pericopi evangeliche della risurrezione a Pasqua (sant'Agostino); gli Atti nel tempo pasquale (idem); Isaia in Avvento; ecc. Appare poi la lettura tematica in senso stretto, che propone un aspetto del mistero unitario dell'umana salvezza in Cristo intorno a una festa particolare del Signore, della Madre di Dio, dei martiri, dei santi o di altri aspetti della fede. Il criterio di fondo è sempre la lettura dell'intera Scrittura durante l'anno. Questo criterio è visibile anche quando, sorti i ciclí e le feste, si deve venire ad adattamenti tematici per l'occasione isolata. [ ]