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Davide Daolmi Carmina Burana, una doppia rivoluzione Roma: Carocci, 2024.
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A partire dagli anni Sessanta la restituzione di un medioevo fisico, ritmico e passionale entra nelle sale da concerto. La nuova estetica, in contrasto con molte convinzioni musicologiche, non è estranea ai Carmina Burana di Orff. La critica rimane imbarazzata sia verso Orff, sia verso l’epigonismo di certa ‘nuova’ musica medievale, ma oggi, meno coinvolti dalle ideologie politiche e culturali del secolo scorso, possiamo ripercorrere con altri strumenti quella vicenda rivoluzionaria, dalla riscoperta della musica antica alla sua rivisitazione metal. Vi è però alle spalle un episodio ben più significativo. Il manoscritto da cui Orff trasse i testi per la sua cantata non è uno dei tanti codici medievali di poesia latina, ma il primo canzoniere mai concepito: genere che avrà in seguito straordinaria fortuna, con i trovatori e con Dante. Immaginare di poter fermare sulla pagina l’inconsistenza di una canzone (qualcosa che fino a quel momento viveva solo come performance) è l’altra inaspettata rivoluzione che si vuole raccontare. Riavvicinando i due piani – la prassi di oggi e le fonti di ieri – l’indagine sul Codex Buranus tenta d’illuminare, mettendo in relazione due epoche, le ragioni della canzone medievale e le ipocrisie musicali della modernità. |