Frontespizio della prima edizione (1985) |
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Dave Harker è nato nel 1946 a Cleveland e si è formato nei villaggi minerari del distretto di North Riding. Ha frequentato il liceo locale (Guisborough Grammar School) e l’università di Cambridge Durante questi anni, sotto l’influenza di Terry Eagleton e Raymond Williams, oltre alle opere di A. L. Lloyd e di Edward Thompson, si è avvicinato ai club ‘folk’. Ha collaborato con David Craig a un lavoro di ricerca sulla cultura della classe operaia del nord-est. A partire dal 1972 ha cominciato a insegnare per il Manchester Polytechnic (shop steward’s courses). Harker, oltre ad essere un attivista sociale e un musicologo, è conosciuto per gli scritti sulla storia della musica pubblicati sul Folk Music Journal e sulla rivista Popular Music.
The Big Red Song Book (Pluto Press, 1977) e One for the Money: politics and popular song (Hutchinson, 1980) sono state le prime monografie che ha pubblicato, seguite da Fakesong: The manufacture of British "folksong", 1700 to the present day (Open University Press, 1985). Ha poi curato libri di canti e versi dei lavoratori: Songs from the Manuscript Collection of John Bell (1985) e Songs and Verse of the North East Pitmen, c.1780-1844 (1999), per la Surtees Society della Durham University.
Fakesong è una monografia che ha come oggetto di ricerca la canzone popolare. L’autore si propone di indagare il falso mito che ha segnato la storia delle raccolte di ballate, focalizzandosi però su come ciascuna di esse altro non sia che il frutto di un rimaneggiamento, di una manipolazione e di una reinvenzione ad opera dei moderni editori. Il volume si focalizza sulle canzoni derivate dalla cultura operaia di Inghilterra e Scozia ed è suddiviso per periodi storici: 1760-1800, 1800-1830, 1830-1870.
Per quasi tre secoli si è discusso sull'origine delle canzoni popolari, su chi le avesse create, sul loro reale significato e sulla loro rilevanza odierna. Sempre più persone ritengono che sia importante scoprire quanto più possibile su come i nostri antenati abbiano vissuto, cosa abbiano provato, pensato e creduto. Il problema è che, quando gli storici esaminano le canzoni apparse sulla carta stampata e raccolte da generazioni di antiquari, studiosi e folkloristi, scoprono che è molto difficile essere sicuri di cosa rappresentino esattamente queste testimonianze. La maggior parte delle persone sa parlare e ha ricordi interessanti che possono essere registrati e, per il periodo che la storia orale non può raggiungere, ci sono queste migliaia di canzoni che fungono da prova storica. Ciò che Fakesong si propone di fare è sviluppare modi per capire esattamente cosa siano i “folksongs” e le “ballads”, contribuendo a spianare la strada per scrivere la storia dal “basso” verso l'alto.
L’idea di fondo proposta in Fakesong è che, per comprendere i libri di canzoni, è necessario conoscere i loro creatori e i loro acquirenti. Harker cerca di dimostrare l’esistenza di una relazione generale tra la posizione di classe dei collezionisti, la loro ideologia e le loro pratiche, mediante un'analisi storico-materialista e dialettica delle vicende che hanno riguardato la Scozia e l’Inghilterra.
1. The Early Mediators
Attraverso l’affermazione di un mercato distrettuale, separatosi dal secolare commercio di broadsides e chapbooks (nello specifico, bordate e libretti tascabili), il periodo 1700-1725 segna un cambiamento qualitativo nella produzione di libri di canzoni in Inghilterra e Scozia. Un mutamento determinato dalla conclusione della soppressione politica dell'editoria (fine XVI secolo) ma, al medesimo tempo, osteggiato dal mecenatismo aristocratico che costringeva gli artisti a stabilirsi nelle corti dei principi e dei nobili oppure ad accontentarsi delle taverne cittadine. Negli anni della Restaurazione (1661) cominciarono ad apparire raccolte di canzoni, insieme a materiale erotico. Dopo la Gloriosa Rivoluzione del 1688 sembra essersi verificata un’ulteriore polarizzazione che, dividendo il beau monde, costituì la base della cultura canora giacobita del mezzo secolo successivo. Questo era lo stato del mercato della canzone a Londra quando Thomas D'Urfey divenne scrittore indipendente e intrattenitore per la nobiltà. Pills to Purge Melancholy, una delle sue principali raccolte, è qui giudicata negativamente per i moventi finanziari che l’hanno data alla luce e per le canzoni che la compongono che, a detta di Harker, sono prese in prestito da qualsiasi fonte. La sua mancanza di pretese intellettuali, condannata in Fakesong, era una parte fondamentale del suo fascino.
2. From Thomas Percy to Joseph Ritson
Negli anni successivi ci furono una serie di cambiamenti che portarono all’annientamento militare del giacobitismo, alla rapida trasformazione dell’agricoltura; era iniziata la rivoluzione industriale e le città britanniche avevano cominciato ad attrarre lavoratori provenienti dalle campagne. L’aristocrazia terriera e la grande borghesia iniziarono a serrare politicamente i ranghi contro il resto della popolazione e fecero in modo che i loro interessi economici collettivi fossero sostenuti da una serie di guerre d’oltremare per il controllo del commercio internazionale. L’espansione dell’economia contribuì alla formazione di una nuova classe dirigente con una consistente componente borghese e rese necessario lo sviluppo di quella che oggi chiamiamo piccola borghesia. È in questo contesto che si fa strada una nuova generazione di collezionisti, accomunati da umili origini provinciali e da grandi ambizioni economiche e sociali. Primo fra tutti Thomas Percy, il cui operato è qui indagato a partire dalla raccolta Reliques. Harker pone l’accento sulla riscrittura, operata dal collezionista, su ballate esistenti spacciate però come autentiche riprese del manoscritto in folio. Il suo disappunto si scaglia anche contro Joseph Ritson che, sebbene qualche errore di datazione e nella redazione delle note, nelle sue collezioni ha mantenuto un certo rigore scientifico, ricercando accuratezza e autenticità. Figure come David Herd, Thomas Evans, John Pinkerton, Robert Burns, James Johnson, Percy Grainger fanno la loro comparsa in questo capitolo.
3. From Walter Scott to Robert Chambers
La Rivoluzione industriale concentrò i lavoratori nelle città, portando alla creazione di una classe operaia inglese e scozzese nelle pianure. Ciò che viene esaminato qui è il modo in cui Walter Scott e i suoi sostenitori collezionarono le canzoni durante questi anni turbolenti e, soprattutto, come essi rispondevano alla cultura di una classe di popoli lavoratori che stava diventando distinta come la società britannica. Background, istruzione e occupazione: queste le caratteristiche dei collezionisti nati tra il 1790 e l'inizio del 1800, tra cui Walter Scott, James Hogg, Robert Jamieson, Cunningham, Peter Buchan, James Maidment, George Richie Kinloch, William Motherwell, Robert Hartley Cromek, John Bell. Harker si concentra sull’operato dei romantici scozzesi che hanno reso autentiche delle ballate, che altro non erano che creazioni nate dall’estro di imitatori entusiasti. L’autore finisce per tralasciare il comportamento degli studiosi inglesi e, sebbene non fornisca alcuna prova, lo condanna per i medesimi crimini intellettuali.
4. From Thomas Wright to John Harland
Sotto il capitalismo la coscienza dei lavoratori si sviluppa in modo disomogeneo, dando vita a problemi nella realizzazione di un’organizzazione politica nazionale della classe operaia in grado di contrastare la classe dominante. La religione, il sindacalismo e il settorialismo contribuivano a tenere separati i lavoratori. Mentre i lavoratori avevano i propri giornali, club, società e sindacati, il capitale sopravvisse alla crisi della fine degli anni '30–40 dell’Ottocento e l’anno delle Rivoluzioni in Europa lasciò la Gran Bretagna relativamente indenne. Gli operai specializzati nelle officine del mondo cominciarono a godere di una modesta quota dei frutti dell’imperialismo, e ciò portò allo sviluppo di forme di nazionalismo operaio. Ciò che era chiaro era che esisteva un enorme mercato operaio per i prodotti culturali come per ogni altra merce, e gli imprenditori non tardarono a identificarlo e a cercare di sfruttarlo. Negli anni '50–60 dell'Ottocento, la sala da concerto e poi il music-hall divennero un elemento chiave nella cultura della piccola borghesia urbana e di una parte considerevole dei lavoratori più abbienti. Le figure di spicco identificate da Harker in questo periodo sono: John Broadwood, Robert Bell, James Henry Dixon, William Chappell, Thomas Wright, James Halliwell. Uomini che facendo delle attività letterarie e antiquarie un’occupazione a tempo pieno, ne ricavavano una grande fonte di guadagno, motivo di disapprovazione dell’autore di Fakesong.
Verso la fine degli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, lo studio delle canzoni operaie e delle ballads in Inghilterra era declinato allo status di passatempo signorile. Dopo il 1840, lo Stato aveva iniziato a interessarsi alla formazione della classe operaia, specialmente in ambito musicale e canoro e, in particolare, dopo che John Hullah aveva sviluppato e applicato il metodo di insegnamento del canto di G.L.B. Wilhelm. Dopo il 1870, l’istruzione di massa iniziò a diffondersi. La produzione musicale, il canto e la scrittura di canzoni da parte della classe operaia continuavano anche al di fuori delle scuole. Una delle conseguenze della quasi annessione delle canzoni old english da parte dello Stato fu l'ulteriore marginalizzazione del lavoro dei collezionisti e degli editori interessati a canzoni della classe operaia che non potevano né essere vendute come merce né utilizzate nelle scuole.
5. Francis James Child
Una dei collezionisti su cui Harker si concentra maggiormente è Francis James Child. Egli, ben lungi dall'essere il primo a usare il termine ballad o ad invocare il “popolare”, si è fatto portatore della loro definizione e fortuna. Il suo opus magnum, The English and Scottish Popular Ballads (1882-1898) che, riprendendo da dove gli antiquari letterari avevano interrotto, cataloga le variazioni di 305 ballate. Child, inserendosi in ciò che restava della rete delle società accademiche di Londra, ha cercato di sviluppare costrutti teorici a partire dal materiale studiato. L’autore di Fakesong in questo capitolo pone l’accento sul debito di Child nei confronti del danese N.F.S. Grundtvig, che lo aveva contattato poiché curatore di una raccolta “nazionale”. Nonostante il proposito di rigore scientifico, l’ideatore della raccolta canonica di ballads anglo-scozzesi, è giudicato colpevole di aver utilizzato l’apparato teorico all’ingrosso dello studioso danese.
6. The ‘Ballad’ Consensus
Dopo la morte di Child, il suo lavoro venne ripreso da un discreto numero di accademici professionisti, sia in Gran Bretagna che in Nord America. Molti della generazione di accademici letterari dell’inizio del ventesimo secolo, beneficiarono materialmente della loro associazione alla figura di Child. Il paradosso era che il rispetto degli studiosi per i risultati di Child andava di pari passo con una quasi totale assenza di teoria rigorosa nel suo lavoro, così che per legittimare il campo emergente, essi dovettero tentare di elaborare qualcosa che era accademicamente presentabile. Flirtarono con la disciplina in via di sviluppo dell'antropologia, combatterono i tentativi di annettere il folclore a territori intellettuali già esistenti e trascorsero i primi tre decenni del secolo cercando di aggrapparsi al prestigio di Child e di far fronte a tutte le contraddizioni nella sua pratica. Questo capitolo cerca di tracciare lo sviluppo del consenso sulla ballata mostrando cosa accadde alla terza edizione dell'opera di Child e come le sue idee sulle origini, la trasmissione e il cambiamento della ballata furono riprese e modificate.
Qui si cerca di mostrare è come e perché il concetto di “canto popolare” è stato costruito, prevalentemente nel contesto inglese, nel periodo compreso tra il 1870 e il 1900. Il volume si concentra sulle figure che scrissero teoricamente del “folk” e della “musica popolare”, chiedendosi che tipo di persone fossero – la loro posizione di classe, la loro ideologia, il loro modo di guadagnarsi da vivere e così via – fino alla fondazione della English Ballad Society.
7. The Strong Men and Women Before Agamemnon
Dopo aver attraversato una fase vigorosa di regionalismo, le canzoni commerciali rivolte ai lavoratori iniziarono a sviluppare caratteristiche frutto della creazione delle prime sale da concerto negli anni ‘50–60 dell’Ottocento. Questi processi complessi suscitarono l'interesse borghese provinciale per la cultura della canzone “regionale”, “di contea”, sollevando interrogativi sulla possibilità di una musica nazionale. Carl Engel era un musicista professionista e uno scrittore musicale che lasciò la Germania a metà degli anni Quaranta dell'Ottocento, stabilitosi prima a Manchester e poi a Londra. Proveniente da una cultura musical-letteraria tedesca molto sviluppata, è rimasto sorpreso dall'assenza di ricerca e di composizione originale nel suo paese d'adozione. Per questo motivo, nel 1866, scrive Introduction to the Study of National Music, vedendo la “musica nazionale” come una scienza che includeva: “qualsiasi musica che, essendo composta nel gusto peculiare della nazione a cui appartiene, fa appello ai sentimenti di quella nazione, ed è di conseguenza preminentemente coltivato in un certo paese”. Engel si iscriveva nella tradizione degli studiosi di ballate della generazione precedente: cultura musicale “generalmente semplice e senza pretese” che si trovava soprattutto tra la popolazione rurale che era “meno soggetta alle influenze esterne”. In un’epoca in cui il mercantilismo e l’utilitarismo sembravano aver trionfato nella cultura musicale della borghesia inglese, e in cui l’Impero forniva materia prima all’industria britannica, Engel raccomandava a studenti e professionisti di sfruttare la cultura musicale operaia per convertirla in una cultura riconoscibilmente “nazionale”.
8. Cecil James Sharp
Dopo il 1909, esacerbato dagli effetti della crescente competizione economica, politica e militare con gli Stati Uniti e, soprattutto, con la Germania, si verificò un periodo di intensa crisi e di lotta di classe, interrotto solo dalla Prima Guerra Mondiale. Un conflitto che penetrò in ogni aspetto della cultura britannica e sollevò interrogativi nella classe borghese dominante sui rapporti tra il loro potere e i lavoratori. Richieste culminate in riforme di carattere politico, economico e assistenziale, e in una radicale revisione del ruolo dell'istruzione statale e della cultura ufficialmente riconosciuta. Questo fu il contesto storico in cui Cecil James Sharp, classico prodotto della cultura borghese metropolitana inglese, affrontò la questione della “canzone popolare”. Amici, alleati, sostenitori e apologeti hanno cercato di dare l’impressione che egli fosse qualitativamente diverso dai suoi predecessori sia in termini di idee, sia nel modo in cui collezionava e pubblicava. Sebbene Sharp ambisse alla trasmissione della canzone del proletariato urbano attraverso forme orali ed evoluzioni in senso darwiniano – continuity, variation and selection – come sottolineato nel manifesto English folk song: some conclusion del 1907, secondo Harker egli ha in realtà agito su di essa estrapolandola da copie stampate commercialmente e manipolandola ideologicamente.
9. The ‘Folksong’ Consensus
La presa di posizione di Sharp fu accolta con un certo scetticismo dall’establishment letterario e musicale; parte della sua lotta all’interno della cultura borghese implicava la ricerca, il reclutamento e la formazione di quadri di persone che la pensavano allo stesso modo, essendo, tra la fine del 1900 e l’inizio degli anni 1910, tutti uomini. Vaughan Williams collezionava canzoni nel 1903, anche prima di Sharp. George Gardiner iniziò a collezionare oggetti nell'Hampshire su suggerimento di Lucy Broadwood nel 1905. Gli Hammond vivevano a Clevedon, conoscevano la famiglia della moglie di Sharp. L'interesse di Percy Grainger fu inizialmente risvegliato dal contatto con il compositore Grieg, poi da una conferenza di Lucy Broadwood e da un concorso di “canzoni popolari” nel North Lincolnshire giudicato da Kidson. Un altro compositore in erba, George Butterworth, entrò in contatto con Sharp e Vaughan Williams quando era studente a Oxford ma, alla fine della Prima guerra mondiale, questo quadro era stato decimato, e nel 1930 le prime due generazioni di collezionisti di “canti popolari” erano quasi estinte. Si riteneva, in generale, che il lavoro fosse stato fatto e nessuna generazione di collezionisti si fece avanti negli anni ‘20 o ‘30 per sostituire quanti erano venuti prima.
10. Alfred Owen Williams and the Upper Thames
Gli studi sulla cultura della canzone della classe operaia britannica hanno coinvolto la figura di Alfred Owen Williams: un operaio che si occupava di raccogliere e pubblicare “folksong” all’incirca nello stesso periodo di Sharp e degli altri collezionisti borghesi. Gli obiettivi di Williams erano però diversi da quelli della Folk Song Society (fondata nel 1898). La sua opera non può essere compresa senza un'analisi della sua forma di coscienza operaia, del suo rapporto con gli elementi letterari della cultura borghese e del suo atteggiamento nei confronti dei lavoratori rurali. La tesi di questo capitolo è che il lavoro di Williams rappresenta un progresso qualitativo nello studio degli aspetti della cultura della classe operaia inglese. Egli ha infatti scritto un libro, Life in a Railway Factory, sulle sue esperienze lavorative, pubblicato dopo il 1915, dopo aver lasciato la GWR (Great Western Railway) a causa del timore di pressioni e ritorsioni da parte dei suoi datori di lavoro. Un volume che mostra come Williams fosse intrappolato, ideologicamente e materialmente, nel suo lavoro, tra ciò che sapeva di meschinità manageriale e ciò che definiva egoismo. Harker ne critica l'incapacità di cogliere la piena realtà della situazione cultural-lavorativa.
11. Albert Lancaster Lloyd: the one that go away?
Lo studio del “folksong” in Gran Bretagna non ha mai conquistato una solida base istituzionale. Questo è notevolmente contraddittorio, data la storia del concetto e il suo carattere prevalentemente borghese. Ma ciò che, a prima vista, è ancora più singolare è che, quando la prima fase del Folksong Revival si era esaurita in un’irrilevanza negli anni ‘20–30, e la Folk Song Society si era fusa con la English Folk Dance Society di Sharp nel 1932 per garantire una base vitale su cui sopravvivere, avrebbero dovuto essere gli intellettuali socialisti a impegnarsi per far rivivere il Revival. La figura chiave, dagli anni ‘40 fino alla sua recente morte, fu Albert Lancaster Lloyd. Il suo lavoro (specialmente Folk Song in England del 1967) rappresenta una sorta di riavvicinamento tra lo studio serio del “canto popolare” e quello della storia operaia in Inghilterra. Il suo progetto, intellettualmente ostacolato dalle contraddizioni inerenti al consenso del “canto popolare”, ambiva a contrastare le insensatezze perpetuate dagli aspiranti seguaci di Cecil James Sharp. Sebbene le differenze di intenti e ideologie di Lloyd rispetto ad altri collezionisti, l’autore di Fakesong ne condanna l’operato, giudicandolo come parte integrante della distruzione operata ai danni della cultura della canzone popolare.
C’è ancora molto lavoro da fare, non solo in relazione alle canzoni ma nel campo più ampio della storia della vita sociale. È necessario cercare di comprendere la vita sociale in relazione alle opportunità e alle esigenze del lavoro e, per farlo, c’è bisogno di una teoria della storia e del cambiamento che spieghi la trasformazione materiale della società e aiuti ad esplicitare come gli esseri umani abbiano effettuato tali trasformazioni e ne siano stati influenzati. In altre parole, è fondamentale comprendere la storia in modo dialettico e materialista. La tesi dell’autore è che se non riusciamo a localizzare i prodotti e le pratiche culturali nella storia, non potremo comprendere né la cultura né la storia. Inoltre, a meno che non siamo preparati a imparare a gestire i prodotti culturali, come le canzoni, che derivano dalla cultura operaia, la storia continuerà a essere scritta dall’alto verso il basso. Come hanno riconosciuto i membri dell’International Association for the Study of Popular Music, non è possibile capire dove sta andando la cultura finché non si sa dove ci si trova, e non si può sapere pienamente dove ci si trova finché non si sa da dove si viene.
edizione unica (in inglese)
Dave Harker, Fakesong: the manufacture of British "folksong", 1700 to the present day, Milton Keynes ph: Open University Press, 1985.
Il volume Fakesong: the manufacture of British "folksong", 1700 to the present day, sin dalla sua uscita nel 1985, ha suscitato reazioni contrastanti. La monografia, propugnandosi come ricerca storico-argomentativa, agli occhi di molti ha ottenuto il solo effetto di criticare aspramente un movimento popolare. Dave Harker propone di analizzare il lavoro degli intellettuali della classe media che, dopo un’attenta selezione e un preciso rimaneggiamento, hanno creato delle raccolte di canzoni cosiddette popolari. Uno studio, quello da lui condotto, incentrato sulla “folksong” che, mediante un’organizzazione cronologica, affronta l’operato di 36 collezionisti senza riuscire a metterlo veramente a fuoco. Uno dei punti maggiormente criticati da coloro che sono entrati in contatto con la sua opera, riguarda l’approccio scelto: l’andamento temporale del volume e l’analisi biografica non danno modo di affrontare il tema in profondità, finendo per mostrare l’ostilità che l’autore nutre nei confronti dei mediatori. Alcuni intellettuali spacciavano i ritrovamenti come autentici, altri cercavano di ripristinare la tradizione e altrettanti ne distorcevano il contenuto, specie quando considerato volgare. Harker, all’interno del suo Fakesong, non ha affrontato caso per caso, mettendo in evidenza l’operazione svolta da ciascun mediatore; ha invece generalmente condannato le raccolte di folksong, senza tenere in considerazione le ragioni poste dietro simili collezioni. La sua tesi è che l’impresa di mediazione, non soltanto comportava un’espropriazione culturale ma anche uno sfruttamento finanziario. L’autore sostiene che i collezionisti – tutti quanti – raccoglievano le canzoni dai lavoratori e le snaturavano per meglio adattarle al gusto borghese. L’obiettivo era poi la pubblicazione, necessaria all’ottenimento di ampi profitti. Il risultato però, secondo Harker, è stata la definizione, basata su un’impressione errata, di ciò che la cultura della classe inferiore è e rappresenta. Il pensiero dell’autore è estremo e non lascia spazio ad analisi approfondite o diversificate. I giudizi alla sua monografia si focalizzano soprattutto sulla manipolazione e sulla generalizzazione delle teorie in essa riposte. Harker accusa i collezionisti georgiani, vittoriani, edoardiani e del dopoguerra, senza fare distinzioni di luogo o tempo, ritenendoli responsabili della sistematica corruzione e repressione della cultura operaia.
David Gregory, all’interno del saggio Fakesong in an Imagined Village? (2011), sottolinea la predominanza della visione neomarxista di Harker. Secondo il critico, la sua interpretazione del revival del folksong inglese, porta a considerarlo come un costrutto ideologico romantico, così come un’espropriazione borghese della cultura della classe operaia. La tesi proposta in Fakesong è che i mediatori avevano il solo obiettivo di piratare e distorcere le canzoni operaie. Gregory giudica la monografia di Harker eccessiva nella sua condanna alle raccolte di folksong realizzate da uomini appartenenti alla classe media, nella tarda età vittoriana e edoardiana. Secondo l’autore del saggio, è bene guardare con occhio critico le argomentazioni e le modalità su cui Fakesong si sviluppa (Gregory 2011).
Phil Edwards nel suo blog dedicato alle canzoni folk, ha pubblicato un articolo (2015) in cui recensisce negativamente il volume di Harker. Egli, all’interno del breve scritto, sottolinea le problematicità che hanno reso difficile la lettura e l’apprezzamento di un simile testo. Al primo posto Edwards pone l’ostilità, evidente nell’approccio utilizzato dall’autore che, considerando il folksong un mito, pone l’accento sulla finzione ideologica creata appositamente dai mediatori che, condividendo presupposti su materiali e autori, hanno influenzato la storia della canzone popolare. Un altro difetto di Fakesong, individuato dal blogger, sembra essere l’incoerenza. Harker giudica negativamente l’operazione effettuata dai primi collezionisti che non si preoccupavano di definire cosa raccoglievano e, al tempo stesso, critica aspramente coloro che hanno teorizzato le collezioni. Egli non si è focalizzato sulla ricerca di un termine adatto a definire le canzoni popolari ma anzi, ha preferito contestare l’operato di chi è venuto prima di lui. Non si preoccupa di argomentare ma anzi basa la teoria sulla convinzione che chiunque scriva di folksong stia parlando di qualcosa che non esiste come oggetto a sé stante ma necessita di una relazione con altro. L’ultimo problema messo a fuoco da Edwards è la superficialità. Secondo lo scrittore di Fifty-Two Folk Songs, Harker non dice granché sulle canzoni popolari, specie su origine e sviluppo; indaga le radici stampate ma tralascia quelle orali, considerandole indefinibili o prive di importanza e significato. Egli rende il folksong un non-soggetto, insistendo sul fatto che non si possa distinguere ciò che è popolare da ciò che non lo è affatto. Edwards conclude il suo articolo sostenendo che l’intento di Harker era quello di dimostrare che la canzone popolare non esisteva, finendo però per palesare ai suoi lettori di non volerla studiare (Edwards 2015)
Jackson Houlston, all’interno del volume Ballads, songs and snatches: The appropriation of and responses to folk song and popular music culture in the nineteenth century (2010) cita la monografia di Harker. Egli si sofferma sulla sezione di Fakesong in cui si fa riferimento alle modalità con cui le classi sociali elevate prendevano le canzoni trasmesse oralmente dal proletariato urbano e le facevano proprie. Queste folksong, influenzando persuasivamente la vita sociale e comunitaria, arrivavano a stabilire nuove ideologie. Il volume preso in causa si concentra proprio sulla messa in discussione delle collezioni di canti popolari, selezionati per scopi opposti rispetto agli interessi dell’ambiente d’origine. Fakesong, con tono polemico, sottolinea le esigenze di utilità politica che hanno deformato la selezione e il montaggio delle folksong, oltre all’analisi delle identità nazionali nel periodo romantico. Houlston condivide il pensiero celato nell’opera di Harker ma, al tempo stesso, è convinto che sia necessaria una maggior problematizzazione e definizione (Houlston 2010).
Davide Atkinson in The Anglo-Scottish Ballad and Its Imaginary Contexts (2014) vengono ripresi i concetti presentati da Harker nella sua monografia. Il capitolo 5, dal titolo Sound and Writing, fa riferimento al revival della canzone popolare durante la fine del ventesimo secolo. Aktinson si concentra sulla richiesta di ‘autenticità’ e sulla sfiducia nella ‘mediazione’ che costituiscono il punto focale di Fakesong. Nonostante l’utilizzo del volume del 1985, l’autore nella prefazione prende le distanze dagli obiettivi revisionisti di Harker, specie quando quest’ultimo afferma che concetti come folksong e ballate sono macerie intellettuali da rimuovere per poter ricominciare a costruire (Atkinson 2014, Wright 2016).
Karen McAulay apre il volume Our Ancient National Airs: Scottish Song Collecting from the Enlightenment to the Romantic Era (2013) con un rimando ai termini utilizzati per definire le folksong. Primo fra tutti Richard Dorson che, nel 1950, ha presentato su Mercury, una rivista americana, il concetto di “fakelore” con cui identificava canzoni, racconti e tradizioni popolari. Un vocabolo troppo generico, poi sostituito da “fakesong” proposto da Harker nel 1985, intriso però di ideologia marxista; il termine designa in sé l’inautenticità percepita nel repertorio delle canzoni popolari. All’interno della monografia da lui redatta, secondo McAulay, egli dà troppa rilevanza al punto di vista politico, finendo per inquadrare le raccolte dei collezionisti come un vero e proprio saccheggio delle tradizioni popolari delle classi lavoratrici. L’autore di Our Ancient National Airs si discosta dall’approccio estremo e dalle posizioni nette di Harker, sostenendo che così facendo ha tralasciato le questioni culturali rappresentative della creatività di fine diciottesimo e inizio diciannovesimo secolo (McAulay 2013).
Harker 1980 | Dave Harker, One for the Money, Politics and popular songs, Hutchinson Publishing Group, 1980.
Pegg 1987 | Carole Pegg [recensione a Harker 1985], Popular Music, 6 (1987).
Houlston 2010 | Caroline Mary Jackson-Houlston, Ballads, songs and snatches: The appropriation of and responses to folk song and popular music culture in the nineteenth century, PhD, Oxford Brookes University, 2010.
Gregory 2011 | David Gregory, Fakesong in an Imagined Village? A Critique of the Harker-Boyes Thesis, Athabasca University 2011.
Mcaulay 2013 | Karen McAulay Our Ancient National Airs: Scottish Song Collecting from the Enlightenment to the Romantic Era, Ashgate Book, 2013.
Atkinson 2014 | David Atkinson, The Anglo-Scottish Ballad and Its Imaginary Context, OpenBook Publisher Collection, 2014.
Edwards 2015| Phil Edwards, "Fakesong (Dave Harker, 1985)", Fifty-Two Folk Song (2015) | online
Paddison 2016 | Max Paddison, "Riflessioni critiche sul concetto di popular music", Analitica, 9 (2016).
Wright 2016 | Lucy Wright [recensione a Atkinson 2014], Ethnomusicology Review (2016) | online