Una questione di corna
Appunti su Verklärte Nacht di Schoenberg

  Già pubblicato come: Davide Daolmi, Guida all'ascolto: Arnold Schönberg (1874-1951), 'Verklärte Nacht' op. 4 per due violini, due viole e due violoncelli (1899), in Teatro Comunale. Stagione concertistica 1997-98, programma di sala per il concerto del Sestetto d'archi dei Filarmonici di Berlino (Cagliari, 16 aprile 1998), Cagliari: Scuola Sarda, 1998, pp. 4-18.

Revisione 2002 © Daolmi


I sensi di colpa di una moglie fedifraga (ma in dolce attesa) e l'immediato conforto del prodigo nuovo amante – che sol guardandola al chiaro di luna già sente il bimbo dell'altro come suo (delle sorti del marito becco nulla si dice) – sono i temi della storia, inaspettatamente quotidiana e non troppo edificante, che racconta questo giovanile sestetto per archi, fra le composizioni più note di Schönberg.

Mi rendo conto che in questi termini c'è il rischio, forse imbarazzante, di svilire l'aura misterica dell'opera, ovvero "il sublime rapimento e l'ineffabile suggestione poetica" giustamente posti in luce dalle più note guide all'ascolto. Ma, senza nulla togliere all'afflato, la vicenda rimane questione di corna e questo è un fatto. Si obietterà: ma che importa? Importa, eccome. Ma andiamo con ordine.

Il nome di Schönberg, bambino cattivo della musica contemporanea, è spontanemente associato, più o meno a ragione, a un procedimento compositivo noto col nome di 'dodecafonia'. La parola è orrenda: deprecabile il suono, scombinato l'etimo e, in molti casi, frainteso il significato. Giacché Verklärte Nacht nulla ha a che vedere con la dodecafonia sarebbe quasi meglio tacere l'esistenza della medesima; ma la vicenda, si diceva, è scabrosa (pur sempre illegittimo è il figlio) e pertanto pare opportuno non trascurare nulla possa aiutare a far chiarezza.

Dunque: Schönberg o della dodecafonia. L'associazione d'idee era in origine un gioco infantile, in seguito fu promossa a terapia psicoanalitica da Freud – autore frequentato dal nostro nelle letture serali (evenienza che ci conforta per la scelta del riferimento estemporaneo) – perciò: Schönberg mi suggerisce dodecafonia, che mi suggerisce musica contemporanea, che mi suggerisce atonalità, che mi suggerisce ma perché non sono stato a casa, che mi suggerisce se-faccio-finta-che-mi-piace-almeno-sembra-che-sono-esperto.

Questa amabile successione d'idee (in dodecafonia si direbbe serie) non è il pensierino cretino meschino sciocchino di chi a concerto va solo a Pasqua (per espiare); è il dramma catastrofico che ha angosciato il verbo musicologico dell'intero ultimo secolo – che fortunatamente sta per finire e speriamo che il prossimo sia un po' meglio (in linea di massima parlo del secolo). Le conseguenze per l'ambiente sono infatti state disastrose.

Proviamo a dirlo, magari sottovoce, per vedere l'effetto che fa: Schönberg non è la dodecafonia. Va bene, è anche la dodecafonia ma non solo; e in ogni caso per un periodo limitato della sua attività compositiva. Vogliamo dire poi che quel periodo non è nemmeno il più felice? Vogliamo dire anzi che è il meno convincente? L'abbiamo detto.

Ciò malgrado ora è tardi, perché il danno è fatto. Nel senso che il termine di confronto con Schönberg, a partire da Berg e Webern (i suoi allievi più devoti) fino alla scuola di Darmstadt, per giungere agli accademismi invero un po' anacronistici che si perpetuano nei nostri conservatòri, da sempre ciò che interessa in riferimento a Schönberg è la dodecafonia. L'ha teorizzata lui, va bene, ma anche Einstein ha dato il suo contributo alla bomba atomica, eppure si preferisce ricordarlo, giustamente, quale padre della Relatività.

Provo a spiegarmi meglio, e per questo sarò un po' didascalico, mi si scuserà.

C'è una formuletta, comoda comoda, che suddivide l'arco compositivo di Schönberg in quattro periodi – applicata, ma non lo ammetterebbero mai, anche dai più eruditi musicologi (quelli che citano in tedesco senza traduzione). Primo periodo 'tardoromantico' (che mi convince compositivamente e mi piace ascoltare: la prima persona, in questo caso, la si intenda quale totale assunzione di responsabilità); qui spiccano Verklärte Nacht, l'intensa pagina sinfonica Pelleas und Melisande, e i monumentali Gurrelieder, l'opera con l'organico più ampio forse mai concepito (più della Sagra di Stravinskij, più dell'Ottava di Mahler). Secondo periodo 'espressionista' (che pure mi convince ma mi piace meno) che lo stesso Schoenberg fa cominciare dalla Kammersymphonie op. 9 e comprende fra l'altro i Pezzi per pianoforte op. 11 e 19, Erwartung, Die glükliche Hand, e soprattutto Pierrot lunaire. Terzo periodo 'dodecafonico' (che, ahimè, non mi convince affatto e in genere non mi piace), ebbene, quali saranno qui i lavori più importanti? la Suite per pianoforte? le Variazioni per orchestra? Certamente spicca per ingombro l'opera lirica Moses und Aron lasciata non a caso incompiuta dell'intero terzo atto (e ciò malgrado in più occasioni gli enti lirici hanno preteso propinarla all'abbonato ignaro). Quarto e ultimo periodo è quello 'americano', successivo al suo espatrio (Hitler già tollerava male gli ebrei, figuriamoci i compositori moderni); qui però Schönberg trascura poco a poco il rigorismo compositivo degli anni precedenti a favore della genuinità espressiva e vengono scritti lavori assai più riusciti come la seconda Kammersymphonie, l'Ode a Napoleone, il Concerto per pianoforte, A survivor from Warsaw e di seguito.

È chiaro che l'applicazione forzosa di una tecnica compositiva tutta teorica, tutta calcolata, camicia di forza che imbriglia l'esigenza compositiva in un groviglio di serie prestabilite, impossibili da applicare senza tabelle predisposte (quasi si compilasse la dichiarazione dei redditi), non giova alla spontanietà. Ma d'altra parte teorizzare un nuovo sistema per mettere note in successione era la risposta necessaria alle insicurezze infinite che pativa il compositore d'inizio secolo, almeno di colui che voleva cambiare le cose.

La dodecafonia si rivelò fin da subito soluzione perfetta. Innanzi tutto era una procedura nuova, e quindi tagliava i ponti col passato; era poi razionale, la risposta migliore alla passionalità ottocentesca; era pressoché automatica, e quindi utilissima nelle secche creative; oltre a ciò era aprioristica ovvero precedente e separata dall'opera musicale, quindi metafisica, quindi con una sua moralità etica inattacabile; era poi noiosissima d'applicare, aspetto che rendeva eroico essere compositore, che metteva in mostra la fatica fisica del comporre. Ma tutto ciò si dimostrava poca cosa rispetto al vero insostituibile e straordinario risultato che il sistema offriva: la dodecafonia, nella quasi totalità dei casi, produceva spontaneamente, inevitabilmente (e a colpo sicuro) della musica brutta, come mai era avvenuto nella storia della musica.

Si dirà: ma dov'è il vantaggio di creare orrori? Innazi tutto è da precisare che si tratta di musica brutta ma tecnicamente ineccepibile, eticamente corretta e moralmente edificante. E questo è un punto. Per l'aspetto estetico la strada è duplice. Da un lato si comincia a dire che le categorie bello e brutto non sono più valide, ma solo ingenuità passate; dall'altro che in ogni caso la Cultura (con la maiuscola) è Vita, che la Vita è Sofferenza e perciò la Cultura è Sofferenza! e quindi noia, fastidio, incomprensibilità, malessere etc. Concetto non così difficile da far passare sopratutto fra chi ricorda le tirate d'orecchie e le bacchettate sulle mani del vecchio e austero maestro di scuola.

Del resto qualcuno che si esalta al riconoscimento del rivolto retrogradato della serie lo si trova sempre (c'è anche chi brama farsi frustare); e se il pubblico in sala si sfoltisce e appludono in pochi, meglio così: "l'arte non è per tutti, se è per tutti non è arte"; qualcosa in contrario? Eppoi, diciamolo, un po' in colpa ci sentiamo tutti quando ci diletta il valzerino del primo dell'anno; ma se riconosciamo 30 secondi gradevoli nell'ora e mezza di noia di un lavoro notoriamente impegnato ci commoviamo fino alle lacrime.

Insomma – per dare un taglio a questa digressioncella sulla dodecafonia (che poco c'entra con Verlkärte Nacht e mi ha pure stancato) – ogni compositore ha il diritto di prendere tutti gli abbagli che crede nella sua vita, compreso quello di ritenersi fondatore di un nuova era musicale. Chi dovrebbe restituire un po' di ragionevolezza agli isterismi profetici è la critica postuma. Cosa che non è avvenuta, anzi. L'arroganza dei "nipotini" della scuola di Vienna ha preteso di imporre il verbo sul comporre nel Novecento, facendo diventare un modo di scrivere – che poteva essere uno fra molti (e in questo senso infinitamente più simpatico) – l'essenza stessa dell'avanguardia; senza essere in grado di ammettere che quell'avanguardia (come alla lunga ha dimostrato) fosse radicalmente sterile. Paradossalmente le critiche a Schönberg, mosse per esempio da Boulez, pur apprezzando il sistema condannavano gli squilibri compositivi, formali e non, che entravano in conflitto con la purezza innovativa della teoria, quando proprio quegli squilibri rimangono l'aspetto ancora più affascinante della musica di Schönberg.

Ci si domanda: si è ora accorta, quell'avanguardia, di non aver prodotto nulla o poco di significativo? di aver soffocato per decenni espressioni diverse del comporre? di aver fatto terra bruciata fra lei e il pubblico? e, in pratica, di aver ucciso la figura del compositore colto? (tant'è che i pochi rimasti se ne vergognano). Sia come sia il danno è fatto: se qualcuno vuol cogliere i cocci…

Mi sono liberato d'un peso. Ora posso ricominciare.

Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) fu scritto nel 1899 in una Vienna che era il centro culturale d'Europa. Centro culturale soprattutto mondano, con caffè, sale da ballo, cabaret, operette e bordelli. La componente intellettuale della Secessione viennese, letteraria figurativa filosofica musicale, era ristretta a circoli infinitamente meno visibili. Tutti quei nomi che ci suggerisce l'epoca – Freud, Hofmannsthal, Kokoschka, Klimt, Kraus, Mahler, Musil, Schnitzler, Schiele, Strauss, Wolf, Zemlinsky, Zweig – furono certamente sintomo di un fermento culturale vivacissimo ma si devono considerare personalità eccentriche alle vicende artistiche vissute dalla borghesia cittadina. Questo per non dimenticare la sostanziale solitudine dell'artista, estraneo alla produzione più popolare, e per capire quanto Schönberg, in epoca di psicoanalisi, avesse buon gioco nel trasformare le sue crisi intellettuali in sintomi di un vaticinio imminente.

E qui ci ricongiungiamo con le corna di cui sopra. Perché, anche rischiando l'immiserimento dei contenuti, diventa indispesabile, per quanto s'è detto, parlare di cose concrete, di fatti, e liberare da "sovrastrutture ideologiche" i giudizi che nel bene e nel male troppo spesso si leggono su Schönberg.

Mi si perdonerà perciò ma, anche per quanto detto fin'ora, non è mio interesse mettere in luce quegli elementi 'profetici' che annunciano le ansie espressioniste successive, o peggio quei cromatismi che si rivelano contenere in nuce i prodromi delle successive teorie seriali. Non mi interessa perché ritengo fuorviante analizzare una composizione con il senno di poi; tanto più nei confronti di chi s'è voluto forzosamente elevare – lui complice – a modello insostiuibile dell'arte di questo secolo. Di contro troppe parzialità si annoverano nella storia della critica musicale verso quei compositori giudicati non abbastanza anticipatori (si pensi a come venivano trattati sino a qualche decennio fa, e a volte ancor oggi, straordinari musicisti come Mahler, Cajkovskij, Rachmaninov, Sibelius e i nostri Rossini, Rota, Malipiero, Perosi etc.).

La musica colta che circola in quegli anni nella Vienna borghese, e che Schönberg prende a modello, è quella di Brahms, Wagner, Liszt, Bruckner. Tuttavia Verklärte Nacht, che pur si cala in tale contesto, non può fare a meno di rivelarsi percorsa dalle inquetudini malinconiche del momento e testimoniare l'insoddisfazione di un ruolo (quello di compositore del sistema) che pone fin da subito Schönberg, malgrado i modelli, in quell'intellighenzia un po' scapigliata lasciata fuori dalle accademie. È in questo senso sintomatico l'episodio raccontato con civetteria nel suo Manuale di Armonia (1922) per cui l'utilizzo del rivolto proibito di un accordo di nona fu sufficiente a far sì che il sestetto fosse rifiutato da una società di concerti. È evidente che quello era il pretesto per un fastidio più generale rivolto a tutto l'opera. Uno dei commissari dichiarò infatti che la partitura avrebbe dovuto suonare come se un pagina del Tristano, ancora fresca d'inchistro, fosse stata strofinata e confusa in un cu-mulo di sbavature. In effetti alcuni passaggi, come quello che segue, dovvettero apparire eccessivamente sovrabbondanti per poter offrire un risultato accettabile e comprensibile.
Ex. 1
Verklärte Nacht
[miss. 314-315]
Uno dei passaggi più densi e complessi del contrappunto 'tonale' di Schönberg.
  Invece l'aspetto straordinario di questo lavoro è proprio la capicità di riuscire ad accumulare la densità ritmico-armonica senza mai compromettere la chiarezza espositiva. Anzi la trasparenza formale ed armonica è l'elemento che più colpisce chi ascoltasse il sestetto solo dopo aver scorso la partitura.

Il lavoro è l'estrema sintesi di un genere molto ottocentesco, il poema sinfonico, e come i noti precedenti (Liszt, Strauss, ma anche Berlioz) prende spunto da un testo letterario. Non lo si può propriamente chiamare poema sinfonico perché è scritto per gruppo da camera: la dicitura poema cameristico è quantomeno ridicola e quindi, eventualmente decisi a un'identificazione di genere, limitiamoci a dirlo sestetto.

Il testo da cui muove il lavoro è la poesia omonima tratta da Weib und Welt (1896) di Richard Dehmel (1863-1920), autore tedesco molto noto all'epoca, dallo stile ricercatamente decadente. Schönberg attinse e attingerà da tale raccolta poetica in più occasioni, soprattuto per i testi dei Lieder scritti in questi anni. Tuttavia la qualità poetica di Dehmel è quantomeno dubbia, certamente alla moda, con occhio attento alle intemperanze secessioniste, ma ben distante dal capolavoro. Se ne accorgerà anche Schönberg qualche anno dopo e se ne può accorgere il lettore scorrendo il testo della poesia che ispirò Verklärte Nacht (la traduzione è quella di M. T. Mandalari pubblicata nell'Arnold Schönberg di Giacomo Manzoni, Feltrinelli 1975).
 
  Zwei Menschen gehn durch kahlen, kalten Hain;
Der Mond läuft mit, sie schaun hinein.
Der Mond Iauft über hohe Eichen
Kein Wölkchen trübt das Himmelslicht,
In das die schwarzen Zacken reichen.
Die Stimme eines Weibes spricht:

Vanno per un boschetto spoglio due creature,
la luna le segue: esse vi affondano lo sguardo.
Va la luna sopra le alte querce,
non una nube offusca la luce celeste
fin dove nere le dentate cime appaiono.
Parla una voce femminile:
  Ich trag ein Kind, und nit von Dir
Ich geh in Sünde neben Dir.
Ich hab mich schwer an mir vergangen.
Ich glaubte nicht mehr an ein Glück
Und hatte doch ein schwer Verlangen
Nach Lebensinhalt, nach Mutterglück
Und Pflicht; da hab ich mich erfrecht,
Da ließ ich schaudernd mein Geschlecht
Von einem fremden Mann umfangen,
Und hab mich noch dafur gesegnet.
Nun hat das Leben sich gerächt:
Nun bin ich Dir, o Dir begegnet.

Io porto un figlio che non ti appartiene,
accanto a te peccatrice cammino.
Contro me stessa ho gravemenre peccato.
Non più credevo alla felicità:
pure, con greve anelito bramavo
uno scopo, una mèta nella vita; ed ecco
sfrontata mi son fatta, e ho lasciato
che un estraneo il mio trepido sesso
in un amplesso avvolgesse,
e me ne sono creduta benedetta.
Ora la vita ne ha fatto vendetta:
e te ho incontrato, ho incontraro te.
  Sie geht mit ungelenkem Schritt.
Sie schaut empor; der Mond läuft mit.
Ihr dunkler Blick ertrinkt in Licht.
Die Stimme eines Mannes spricht:

Ella cammina a passi vacillanti.
In alto guarda; la luna la segue.
Lo sguardo buio annega nella luce.
Parla una voce maschile:
  Das Kind, das Du empfangen hast,
Sei Deiner Seele keine Last,
0 sieh, wie klar das Weltall schimmert!
Es ist ein Glanz um Alles her,
Du treibst mit mir auf kaltem Meer,
Doch eine eigne Wärme flimmert
Von Dir in mich, von mir in Dich.
Die wird das fremde Kind verklären
Du wirst es mir, von mir gebären;
Du hast den Glanz in mich gebracht,
Du hast mich selbst zum Kind gemacht.

il figlio che hai concepito
non sia di peso all'anima tua:
guarda com'è chiaro e lucente l'universo!
Ovunque intorno tutto è splendore,
tu meco avanzi sopra un mare freddo
ma un singolare calore sfavilla
da te entro me, da me entro te.
Il bimbo estraneo ne sarà trasfigurato
e tu a me da me lo partorirai;
sei tu che hai dato a me questo fulgore,
e me stesso in un bimbo hai trasformato.
  Er faßt sie um die starken Hüften.
Ihr Atem küßr sich in den Lüften.
Zwei Menschen gehn durch hohe, helle Nacht.
Egli l'avvince intorno ai fianchi forti.
I respiri si congiungono nell'aere lucente.
Nell'alta notte chiara due creature vanno.
  Come si vede, nella sostanza, la storia è quella sintetizzata ad apertura di questo articolo. S'obietterà che, qualità poetica a parte, i significati sottesi a testo tanto simbolista sono ben altri. Certo, quelli che si vuole: senza neanche troppa fantasia vi si può pure riconoscere il passo biblico in cui Giuseppe viene informato della prossima nascita di Gesù. Ma che si tratti dei postumi all'Annunciazione ovvero di una più prosaica storia di tradimenti non è questo che conta nel rapporto con la musica. Il contenuto rimane pretesto per fare della filosofia che, beninteso, si può fare ma assumendosene fin da principio le responsabilità. Con ciò non voglio rivendicare a tutti i costi la supremazia della 'musica assoluta', più semplicemente vorrei che non si fraintendesse il contenuto del testo sotteso a un'opera a programma (e Verklärte Nacht è un'opera a programma) con l'ingenuità di avere in mano la 'spiegazione' di quella.

Il dato probabile è che la struttura del testo abbia condizionato la giustapposizione delle sezioni interne del sestetto. Al contrario il clima teso, notturno, a tratti angoscioso a tratti sereno sono alla base di un'esigenza poetica già consapevole in Schönberg, non scaturita dal testo, ma autonomamente coincidente.

Uno sguardo alla forma complessiva del testo, parallela a quella della musica, rivela come le parole dei due amanti siano distinte dalla frapposizione di una descrizione del luogo, nello specifico, il bosco, la notte, la luna sempre presente:
 
1. [SCENA] 2. LEI 3. [SCENA] 4. LUI 5. [SCENA]
vanno
boschetto
luna
luce / nere cime
figlio
peccato
felicità
sesso
benedizione
vendetta
cammina
passi vacillanti
luna
buio / luce
figlio
splendore
mare freddo
calore
me / te
estraneo
trasfigurazione
abbraccio
notte chiara
vanno
  L'ambientazione nottura in cui si muovono i due esprime un'essenzialità quasi naturalistica, primordiale (le "creature", per quanto se ne sa, potrebbero anche essere nude) che fa il paio con l'esordio del sestetto, uno dei passi più tersi e puliti che mai Schönberg abbia scritto (e dove si riconosce il tema discendente che caratterizza la ricomparsa degli elementi notturni):
Ex. 2
[miss. 1-4]
L'inizio sommesso di Verklärte Nacht che espone il caratteristico tema discendente qui affidato alla viola I e in ottava al violoncello I.
  Ciò a prescindere dalla componenete morale; la Natura non è buona o cattiva. È infatti proprio nella contrapposizione degli estremi (bene e male) dove più che altrove insistono i significati espressi dalla poesia. Come si osserva la sostanziale simmetria pentapartita meglio evidenzia la contrapposizione degli opposti – lei/lui, buio/luce, freddo/caldo, peccato/salvezza etc. – disponendo quali colonne contrapposte gli elementi femminile e maschile. In questo senso una cesura, quasi in posizione aurea, sostanzialmente bipartisce a tal scopo l'arco complessivo del brano, aprendo la sezione per così dire 'maschile', con un corale che esprime una compostezza e nobiltà densa di certezze e sicurezze.
Ex. 3
[miss. 229-235]
Il corale 'maschile' che introduce la seconda parte del sestetto, quella dedicata alle parole dell'amato.
  C'è in questo senso qualcosa di arcaico e sacro (identificabile nella cadenza plagale fra le miss. 232 e 233 dell'esempio) che esprime l'idea stessa di verità, una verità evidentemente maschile. All'opposto le ansie di lei sono espresse, per esempio, con un tema cromatico in sedicesimi sorretto dai tremoli degli archi.
Ex. 4
[miss. 137-138]
Uno dei trattamenti 'femminili' dei temi del sestetto da eseguirsi, come indicato, wild, leidenschftlich (selvaggio, passionale).
  La musica non si tira indietro nei momenti in cui deve giustapporre elementi in antitesi; lo fa ripetutamente e nei modi più diversi, magari lasciando in primo piano due temi distinti, ovvero smorzando improvvisamente un'accellerazione ritmica, o anche (come nell'esempio successivo) giustapponendo volumi sonori contrapposti (nel caso pp e sff):
Ex. 5
[miss. 212-215]
Un momento d'improvvisi sbalzi di sonorità, l'occasione per mettere in luce gli opposti contrasti cardine della poesia di Dehmel.
  Si diceva dell'andare degli amanti. Se nella poesia può essere elemento marginale, s'intuisce come il percorso, la maturazione e quindi il mutamento di una condizione siano l'altro elemento connettivo dell'intero sestetto. In tal senso il dramma e l'angoscia tutta 'femminile' fuse nella serenità 'maschile' giungono a riacquisire un frutto, il figlio dell'altro, che altrimenti rimarrebbe peccaminoso (illegittimo). Il "boschetto spoglio" in cui camminano all'inizio le due creature si trasforma, per la sola rinnovata percezione, in una "alta notte chiara". Il percorso morale per aspera ad astra vede nell'unione degli opposti il raggiungimento della pace (il concetto non è proprio originalissimo ma non interessa qui lo scopo, la sua forza è nell'evolversi della maturazione).

Il re minore d'esordio (v. es. 2), asciutto e cupo, si trasforma così nel baluginio sereno e sospeso di un re maggiore rifratto fra tremoli, pizzicati e arpeggi a posizione ferma che concludono con una parola di speranza.
Ex. 6
[miss. 413-418]
Le ultime misure del finale di Verklärte Nacht, la pagina più luminosa e densa di speranze che Schönberg abbia mai scritto.
  Verklärte Nacht fu eseguito per la prima volta a Vienna nel 1903 di fronte a un pubblico che forse era maldisposto a tanta mistica solennità (del resto il brano dura quasi mezz'ora). Certo sembra improbabile che i "tumulti " della sala, come ricorda lo stesso Schönberg, potessero esser suscitati dalle arditezze armoniche (che sono più sulla carta che percepibili all'ascolto), ma daltra parte chi può dire se la memoria non sia stata 'ritoccata' (in un momento in cui l'ostilità del pubblico era diventata quasi punto d'orgoglio).

Schönberg rimase sempre convinto, e giustamente, della qualità del lavoro, tanto che nel 1917 (in epoca assai prossima ai radicalismi dodecafonici) decise di orchestrare il sestetto: non una nota dell'impianto armonico fu mutata. Ancora nel 1949 pubblicò una breve autobiografia professionale su una rivista messicana dove dedicò ampio spazio al sestetto – malgrado il riconoscimento quasi imbarazzato degli influssi di Brahms e Wagner. Un anno prima della morte osservò infine che il sestetto

si limita a descrivere la Natura e a esprimere sentimenti umani. Sembrerebbe che grazie a ciò la mia composizione abbia acquistato delle qualità che possono bastare all'ascolto anche senza sapere cosa essa illustra, in altre parole offre la possibilità di essere apprezzata come 'musica pura'.

Spiace semmai osservare l'imbarazzo per un lavoro ritenuto non abbastanza puro. Peccato.