Frontespizio dell'edizione del 1943 a cura di Adriano Luadi |
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Giuseppe Mazzini nacque da una famiglia colta, d'intellettuali e di patrioti. Il padre, medico e professore di anatomia nell'Università di Genova, era stato, negli anni giovanili, repubblicano alla francese e redattore del «Censore italiano, giornale democratico», di tono anticlericale e volterriano, che si pubblicò dal 1797 al 1799 a Genova. La madre, Maria Drago, donna di alto ingegno e di viva sensibilità, aveva abbracciato gli ideali giansenistici di una religiosità interiore, profondamente sentita, e di una moralità austera, senza transizioni, ispirata al concetto della vita come missione e dell'adesione al dovere come unica legge di vita.
Noto al mondo come il più operoso e più costante sostenitore di un'idea politica divenuta ormai il programma della rivoluzione italiana, Mazzini non è ancora noto abbastanza per quel sommo e originale scrittore che egli è. I suoi lavori, così nel campo politico come nel letterario ed artistico, corsero le più sfortunate vicende, poiché apparsi in tempi nei quali quasi tutte le polizie d'Europa si affaticarono a soffocare la voce dell'indefesso agitatore.
Giuseppe Mazzini fu esperto suonatore di chitarra e attento conoscitore del repertorio a lui contemporaneo. Non vi sono dubbi sulla appartenenza di Mazzini a quella schiera di uomini del primo Ottocento che, tra le discipline formative della giovinezza e tra gli interessi della maturità, accolsero la musica come elemento integrante per la definizione della propria personalità. La ricca tradizione musicale genovese, l'arte di Paganini, divinizzata quanto mai anche nella sua città d'origine, il diffuso costume musicale domestico che privilegiava l'uso della chitarra, ponevano il giovane Giuseppe nelle condizioni di accedere a una educazione 'estetica'. Un suo lontano parente, cugino della madre, colonnello d'artiglieria a riposo, consigliava senz'altro di accostare il piccolo Mazzini alla musica. Non sappiamo ancora con chi Mazzini avesse studiato lo strumento, ma il singolare allievo deve aver mostrato particolari attitudini. La chitarra, nella coeva corrispondenza mazziniana, assurge a strumento di quiete domestica, di elemento di coesione di un focolare familiare che Mazzini era ben lungi dal poter ricreare; il saper suonare o meno la chitarra costituisce per Mazzini una prerogativa peculiare atta a collocare nella propria memoria fatti e personaggi.
Mazzini ha sempre preteso che la sua voce e il suo pensiero arrivassero fino al popolo. A questo mirarono gli innumerevoli suoi scritti, le pubblicazioni della famosa tipografia elvetica di Capolago e le riunioni segrete e i convegni. Ma gli sarebbe stato prezioso, in quest'opera di propaganda, l'ausilio di un'arte che con la sua potenza giungesse a trascinare le folle e ad infiammarle di quell'amore di patria ch'egli sentiva ardere nel proprio cuore. E quale arte, se non la musica, avrebbe potuto servirgli allo scopo?
L'idea mazziniana di attribuire alla musica un ufficio sociale e civile si riallaccia a molto auguste e remote tradizioni: ai legislatori e ai moralisti greci del periodo classico, che considerarono lo studio della musica e il suo alto potere educativo sui giovani come necessità fondamentale dello Stato; ai filosofi greci che studiarono e affermarono l'esistenza di rapporti fra le leggi dell'universo e dell'anima umana e le leggi della musica. E tanto identificarono queste e quelle, da chiamare e considerare musica la stessa filosofia.
Musica era il principio che elevava l'anima dandole la più alta forma di benessere morale attraverso il godimento dei sensi; musica era l'etica, poiché la melodia e il ritmo racchiudevano l'essenza dell'anima umana e avevano perciò su di essa potenza di azione più che le altre forma visibili della bellezza: potenza di purificazione e quasi di liberazione da ogni male. Chi dunque voglia rintracciare le origini del pensiero mazziniano, specie per ciò che riguarda il dominio dell'arte, dovrà cercarle nei filosofi della antica Grecia.
Mazzini guarda al paesaggio musicale italiano, e non all'europeo, che pur conosce. Parla ai maestri e ai giovani d'Italia, non già di Germania, di Francia e d'Austria; e siccome è a quelli che vuole additare l'alta missione da compiere, a quelli parla della forma d'arte unica che essi intendono e verso la quale si sentono attratti; dell'unica che allora si praticava in Italia; e con tanta fortuna, con tanta vivacità e varietà, che il successo varcava spesso i confini geografici e portava opere ed operisti oltr'Alpe: a Parigi, a Londra, a Vienna.
Della musica del suo tempo Mazzini vede dunque e denuncia i difetti e gli errori; e poiché restringe l'esame al melodramma, cerca di scuotere dalle sue basi l'organismo dell'opera teatrale che gli sembra troppo vuoto di contenuto, troppo assurdo nella forma, troppo superficiale negli intenti che si propone e negli effetti che ottiene. Ma se osserva il male con dolore, con spirito costruttivo cerca il rimedio e lo propone. Nessuno aveva tentato, prima del Mazzini, di risalire alle origine filosofiche del 'Dramma musicale' affrontando con tanto coraggio, con tanta conoscenza dell'argomento, con tanta onestà di pensiero e di parole il gusto dominante, la tirannia delle convenzioni e la tradizione trionfante (che in molti casi era basso mestiere di epigoni minori).
I nuovi spiriti, le nuove forme che Mazzini auspica per il melodramma, le nuove vie che addita ai compositori di teatro italiani, preannunciano molte delle idee che Wagner esprimerà e svilupperà più tardi attingendo non soltanto all'ideale greco, ma anche a Schopenhauer. Wagner certamente non si rifà a Mazzini ma pesca nello stesso ideale culturale. Ma se Wagner vuole che il dramma e non la musica debba essere lo scopo della espressione, Mazzini sostiene che non la musica e neppure il dramma: ma il pensiero sociale, che è in cima a tutti i suoi pensieri, e il progresso e l'evoluzione dell'umanità debbono essere i fini supremi dell'opera d'arte. Non soltanto dunque Mazzini vuole che il dramma musicale si arricchisca di un contenuto filosofico ed etico che lo renda partecipe in qualche modo della vita sociale e del moto progressivo della civiltà; ma fissa anche, con rigore, i principi, i limiti e i modi entro i quali dovrà svolgersi la rivoluzione che egli bandisce nel campo ideale, giungendo a precisare per quali vie e per mezzo di quali innovazioni formali tale rivoluzione potrà essere compiuta.
Tra i tanti quotidiani curati da Mazzini è all'«Italiano» che destina la prima pubblicazione sul ruolo della musica in Italia. Nel maggio 1836 uscì a Parigi uscì il primo di soli sei numeri col titolo «L'italiano. Foglio letterario». Sulla copertina era scritto: «Bisogna dunque riporsi in via». La sede del giornale era in Rue Clichy n. 25. I primi due numeri furono stampati da Beaulié et Jubin, i successivi quattro da Proux. Sulla copertina era scritto: «Comparirà L'Italiano ogni mese; sarà composto di sei fogli di stampa, ossia quarantotto facciate a due colonne in 4° e formerà alla fine di ciascun anno un grosso volume di 576 facciate. Le materie e la legatura saranno ordinate in modo che riesca comoda la legatura del volume. La coperta, stampata, non è compresa nel numero delle pagine che compongono ciascun fascicolo». L'abbonamento annuo era di 40 franchi.
1836
| prima ed.
Giuseppe Mazzini, titolo,
«L'italiano», numero (1836).
1847
| in volume
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, in Scritti
letterari di un italiano vivente, 3 voll., Lugano: Tipografia della
svizzera italiana, 1847, II, pp. 268-318.
1883 | Bibl. Univers.
Giuseppe
Mazzini, I fratelli Bandiera · Dante · Filosofia della
musica, Milano: Sonzogno, 1883
(Biblioteca Universale, 33); 21888; 31897; 41901; 51905; 61909; 71927.
1891 | prima ed. come volume
Giuseppe
Mazzini, Filosofia della musica, Pesaro: Tipografia Federici, 1892.
1917
| ed. Mori
Giuseppe Mazzini, Pagine italiane: Esortazione per la liberazione
della patria · Dante · Filosofia della musica · La
missione dell'Italia nel mondo · Gli operai italiani · Pensieri e
moniti sull'Internazionale, a cura di Giovanni Mori, Roma: Museum, 1917
(Letteratura d'Italia).
1936 | ed. Penne
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, a cura di Giovanni
Battista Penne, Roma: Tipografia Bodoniana, 1936.
1943
| ed. Lualdi
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, a cura di Adriano
Lualdi, Milano: Fratelli Bocca, 1943 (Biblioteca Artistica, 34); 21954
(Piccola biblioteca di scienze moderne).
1977 | ed. Guaraldi
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica · Estetica
musicale del primo Ottocento, a cura di Marcello de Angelis, Firenze:
Guaraldi, 1977 (Passato e futuro, 24); 22009.
1996 | ed. Ragni
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, a cura di Stefano
Ragni, Domus Mazziniana, 1996 (Collana Scientifica).
2001 | ed. Salvatorelli
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, a cura di
Luigi Salvatorelli, Napoli: Tolmino, 2001 (Eclettica, 14).
2001 | ed. Kaltenecker
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, a cura di
Martin Kaltenecker, Parigi: Van dieren, 2001.
2005 | ed. ???
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica: favella comune a
tutte nazioni, a cura di ???, Brescia: Museo musicale bresciano,
2005 (Monumenta musicae brixiensis).
2001 | ed. Sfienti
Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica, a cura di Alessio
Sfienti, Modigliana (FC): Associazione Mazziniana Italiana, 2003.
1867 | ed. Venturi
Giuseppe Mazzini, The philosofy of music, trad. di Emilie
Aschurst Venturi, ms., 1867.
2004
| ed. Sciannameo
Giuseppe Mazzinis Philosophy of music: envisioning a
social opera, ed. critica della trad. del 1867 a cura di Franco Sciannameo (Lewiston, Lampeter: Edwin Mellen, 2004).
Coll. di rif.: GB-Lbl
Malgrado le numerose pubblicazioni dell'opera, la Filosofia della musica ebbe scarsa fortuna. Ciò forse è dovuto all'ampia propaganda d'opposizione attuata dallo Stato sabaudo che vedeva in Mazzini un personaggio scomodo. A differenza degli altri protagonisti del risorgimento italiano, come Garibaldi o Cavour, non vi furono per Mazzini monumenti o cerimonie. Le sue opere risentirono della stessa sorte. Il 10 marzo 1872, appena la notizia della morte di Mazzini giunse alla Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio, Giovanni Lanza, non si scompose, rimanendo ostentatamente seduto. Il rifiuto di una commemorazione ufficiale in parlamento fu il primo atto di un vero e proprio ostracismo nei confronti dell'esule che poteva sostanzialmente riassumersi nella formula 'ignorare Mazzini'. La culura ufficiale inizialmente non fu in grado di cancellare l'immagine di Mazzini e, in seguito, di manipolarla in un'ottica conciliatorista; dal canto suo, la pedagogia laica non si impegnò in una battaglia in grado di mobilitare le masse. L'esule uscì dalle piazze italiane senza esservi di fatto mai entrato, e in termini di visibilità è un prezzo che Mazzini pagò carissimo. La sua serietà diventò tristezza, il vestirsi di nero lo trasformò in menagramo, la sua attività intellettuale lo rese meno eccezionale di Garibaldi. Tra luoghi comuni e sostanziale indifferenza, si sviluppò una visione distorta di Mazzini, che al di fuori del contesto scientifico-accademico, persiste tuttora.